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Influencer marketing: la Camera della Moda pubblica le sue linee guida, l’Unione Consumatori risponde

Influencer marketing: la Camera della Moda pubblica le sue linee guida, l’Unione Consumatori risponde

Influencer marketing: la Camera della Moda pubblica le sue linee guida, l’Unione Consumatori risponde

L’influencer marketing è materia ancora oscura per molti, ma non per tutti. Almeno stando a quanto sostiene la Camera Nazionale della Moda Italiana che in un recente documento sostiene che «il grado di educazione del consumatore medio del settore è piuttosto elevato e consapevole».

Per questo l’associazione che si occupa di promuovere i brand italiani del fashion ha voluto dire la sua in merito all’annosa questione della pubblicità occulta sui social network o, meglio, dell’utilizzo dell’immagine degli influencer da parte dei marchi per promuovere i propri prodotti.

Come ricorderete ci eravamo già occupati di questo tema, chiedendo consiglio a Massimiliano Dona, Presidente dell’Unione Nazionale Consumatori, che ci aveva spiegato quali siano le regole stabilite a tutela dei consumatori per consentire la distinzione tra un post spontaneo e uno invece a pagamento o “stimolato” dai brand.

Anche il nostro Marco Camisani Calzolari aveva affrontato questo discorso con un servizio che chiariva ulteriormente le cose.


Ora, però, la Camera Nazionale della Moda Italiana ha riaperto l’argomento pubblicando delle linee guida con lo scopo di «aprire un dialogo con le istituzioni, anche in vista dell’emanazione di futuri eventuali provvedimenti legislativi in materia, ma anche con i social network maggiormente interessati e gli influencer o loro rappresentanti».

Il tavolo di lavoro dell’associazione di categoria presieduta da Carlo Capasa ha constatato che in alcuni casi particolari «l’utilizzo dell’hashtag #ad o #adv può rivelarsi fuorviante e comunicare un messaggio errato al consumatore». Secondo CNMI rientra in queste fattispecie il caso in cui un post contenga un abito o un accessorio prestato o regalato dal brand o quelli creati appositamente per un’occasione.

«Il brand fa un omaggio nella speranza che quest’ultimo lo apprezzi e lo indossi, ma senza avere la reale possibilità di ottenere impegni e imporre obblighi in merito a ciò che verrà comunicato con il relativo post».

Sempre secondo CNMI questi due esempi «dimostrano in modo evidente la peculiarità del settore». Da qui una serie di proposte per i brand, per le autorità e per gli stessi social network.

La Camera della Moda ha individuato quattro buone pratiche da attuare: la redazione di una policy da parte dei brand che specifichi le norme di comportamento che gli influencer dovrebbero tenere nella promozione dei propri prodotti; la stipula di un contratto con l’influencer; il rimando alla policy, da far sottoscrivere anche in assenza di un contratto; l’inserimento di una Thank you card in caso di regali agli influencer in cui si rinvia alla policy.

Contemporaneamente, nel documento si chiede alle autorità «di considerare accettabile l’inserimento di un hashtag differente per i regali e di un altro creato appositamente per il prestito; di esplicitare con maggiore chiarezza in quali circostanze è necessario utilizzare l’hashtag #ad, #adv, #sponsored; formalizzare che in caso di modico valore, potrebbe non essere necessario inserire alcun hashtag nel caso in cui il brand paghi all’influencer le sole spese di partecipazione a specifici eventi; tenere conto che più che in altri settori le pubbliche relazioni sono fondamentali e che per tale motivo non è sempre possibile imporre che sia specificato il relativo hashtag».

A queste linee guida ha risposto l’Unione Nazionale Consumatori, il cui Presidente, Massimiliano Dona si è detto perplesso riguardo all’utilizzo che si propone degli hashtag.

In particolare, Dona sostiene che «Quanto chiede la Camera della Moda sull’utilizzo dell’hashtag #adv mi sembra un passo indietro in trasparenza: che sia un regalo o semplicemente le spese di partecipazione pagate dal brand all’influencer, si tratta comunque di un contenuto sponsorizzato che l’influencer promuove non del tutto spontaneamente, perché dunque non dovrebbe essere etichettato con #adv? Possiamo accettare che si scriva #gift, ma proprio in virtù del fatto che si tratta di un mercato particolare, come sostiene la stessa Camera della moda, è chiaro che indossando un capo o scegliendo un prodotto, un personaggio seguito da migliaia di follower è come se lo consigliasse ai suoi fan che hanno il diritto di sapere che non l’ha pagato di tasca propria!».

L’UNC sottolinea poi che «Grazie al nostro intervento, l’Autorità Antitrust dopo due azioni di moral suasion ha chiuso con accettazione di impegni il procedimento su influencer marketing per le t-shirt firmate Alberta Ferretti con il logo di Alitalia. L’ultima fase su cui ci stiamo concentrando riguarda il product placement dei video musicali: è giusto secondo voi che in alcuni video compaiano prodotti commerciali senza che ne fosse dato alcun avviso ai consumatori?
Lo Iap ci ha dato già ragione per il video della canzone “Mambo salentino” di Boomdabash ft. Alessandra Amoroso in cuoi compaiono alcune bottiglie di Birra Peroni; adesso la palla passa all’Antitrust, perché probabilmente dopo le moral suasion sono necessarie sanzioni per ricordare ad aziende e influencer che le linee guida di IAP e AGCM vanno rispettate».

Redazione web Striscia la notizia

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