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Antonio Ricci dalle bacchettate al cacciafruste
La Repubblica

Antonio Ricci dalle bacchettate al cacciafruste

Antonio Ricci dalle bacchettate al cacciafruste

Il creatore di Striscia la notizia si racconta in un libro autobiografico, tra suore impietose e amici particolari come Grillo e De André

Se c’è una fionda nella rotonda fuori dal casello autostradale di Albenga, è in fondo lì a ricordare che è grazie soprattutto ad Antonio Ricci se l’abitato ingauno è diventato anche “La città della Fionda” grazie all’omonimo premio consegnato dai Fieui di Caruggi: un cacciafruste di legno, riservato a chi ha il coraggio di sfidare malcostume e perbenismo. E proprio la sua Albenga – c’è nato nel 1950 – è stata per Ricci, autore che ha segnato la tv italiana, terreno di una delle sue battaglie: quella contro le “Torri del Mangia Mangia” come aveva definito anni fa il progetto di quattro grattacieli che avrebbero squilibrato lo skyline della città romana.
E, come si legge in “Me tapiro”, autobiografia in forma di dialogo con Luigi Galella (Mondadori), uscito recentemente e già in ristampa, quel progetto fu cancellato dopo le proteste dei cittadini aizzati proprio da Ricci e da memorabili servizi di Striscia la Notizia, garantendo la Fionda all’inventore del tapiro. E c’è tanta Liguria (non solo Albenga) nel libro, i cui proventi Ricci ha destinato al Gruppo Abele di don Luigi Ciotti; ovviamente partendo dall’infanzia, l’asilo con le suore che gli impongono “di allineare ordinatamente due pagine di puntini… Alla prima pagina dell’insulsa sequenza cominciavo a non tenere più l’ordine, ero preso da un gesto compulsivo: scarabocchiavo tipo sismografo al dodicesimo grado della scala Mercalli”. Ma anche un’altra monaca, l’implacabile suor Serafina che impartiva lezioni di pianoforte a suon di bacchettate ma che fu la prima a portarlo a 8 anni sul palcoscenico parrocchiale. “E’ iniziata allora la mia avventura di spettacolo, con la convinzione che il drammatico faccia molto più ridere del comico e che l’ironia, in un paese in cui tutti si prendono terribilmente sul serio, devi averla dentro fin da piccolo”. Arriva il ’68, e per lo studente di Albenga c’è l’impatto con l’università – è laureato in Storia dell’arte con una tesi sulla tutela dei beni culturali – ma soprattutto con i suoi annessi e connessi: le occupazioni e l’intrattenimento a base di canzoni e chitarra. E poi, nel 1971, l’incontro con Beppe Grillo: “L’ho conosciuto al Jolly danze di Genova, dove mi esibivo il giovedì sera… Il locale era una baleraccia enorme che occupava i sotterranei del Politeama Genovese e dello Stabile; un ambiente ampio, con una bassa pedana per le esibizioni, che si riempiva di studenti, 500 all’incirca, quasi tutti pendolari. Mi aveva portato lì la cameriera del bar dell’università di via Balbi, dopo che mi aveva visto all’opera in piedi sul biliardo”. Alla fine dell’esibizione, spunta “un ragazzo magro, con barba e capelli lunghi”, cioè Grillo, che senza andare per il sottile gli disse che il brano di Brel “La canzone dei vecchi amanti” era sua; e lo faceva anche con altri brani, “un modo per farsi grande con gli amici e in fondo anche con il pubblico degli studenti che lo ascoltava”. E Fabrizio De André, conosciuto a vent’anni “con il loden, sembrava un signorino” e diventato amico di una vita, “uno così schivo che eppure voleva venire a Striscia, travestirsi da Gabibbo e cantare le canzoni del pupazzo che tanto gli piacevano. Io gli spiegavo che non era possibile perché lui era troppo alto e mi avrebbe sfondato il costume”. Ma se arrivano i primi ingaggi milanesi a poche lire (con treno locale notturno per tornare a Genova) e, a parte una parentesi breve da docente e anche da preside, l’avvio di una lunga e fortunatissima, benché spesso contestatissima carriera televisiva, quello che Ricci non ha mai perso è il richiamo fortissimo della sua terra, visto che, come racconta, a Milano non ha mai preso casa ma sempre vissuto in residence: l’importante è tornare in Riviera, prima ad Albenga e ora ad Alassio, dove vive e dove si è impegnato in prima persona per il recupero di Villa della Pergola, evitando una speculazione e ripristinando i giardini storici. “Non essendo riuscito a salvare il mondo, ho salvato almeno un parco”, dice lui.
 
(La Repubblica ed. Genova/Donatella Alfonso, 16 gennaio 2018) 

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