Parla l'ideatore di Striscia la notizia, che da 35 anni racconta l'Italia con ironia… E dà spazio al cibo, coi piatti raccontati da Paolo Marchi e le eccellenze agroalimentari narrate da Davide Rampello. Ma c'è l'altra faccia della medaglia…
Da Identità Golose del 3 ottobre 2023, l’intervista ad Antonio Ricci di Carlo Passera.
Striscia la notizia, il tg satirico di Antonio Ricci (nella foto) è tornato quest’anno per la 36esima edizione. E si prepara a una grande festa perché il 7 novembre festeggerà 35 anni di impegno civico e sociale al fianco dei cittadini, riconfermandosi il programma satirico di informazione da Guinness, il più longevo al mondo per numero di puntate. Dietro al bancone c’è la coppia, ormai affiatatissima, formata da Alessandro Siani e Vanessa Incontrada, al terzo anno insieme.
(È il 7 novembre 1988, un lunedì. Due giorni dopo George W. Bush – senior, non junior – sarà eletto presidente degli Stati Uniti d’America, trovandosi come contraltare, dall’altra parte della cortina di ferro, un Michail Gorbacêv sempre più in difficoltà. In Italia, al Quirinale c’è Francesco Cossiga, a Palazzo Chigi governa il democristiano Ciriaco De Mita a capo del classico pentapartito Dc-Psi-Psdi-Pri-Pli. Spopolano Alberto Tomba, George Michael e il Walkman, mentre la nuova Fiat Tipo stenta a replicare i successi della Uno. A proposito di automobili, Ayrton Senna ha appena trionfato al campionato del mondo di Formula 1. Alle 20, 25 su Italia 1 – il trasloco su Canale 5 sarebbe avvenuto nella successiva edizione – debutta una nuova trasmissione televisiva: si chiama Striscia la notizia – Giornale Radio, è condotta da Ezio Greggio e Gianfranco D’Angelo, il regista è Beppe Recchia, l’ideatore Antonio Ricci).
Antonio Ricci, 35 anni (e 36 edizioni) dopo: quale è il segreto di tanta longevità?
«Per restare su un tema caro a Identità Golose, sono stati gli ingredienti. Abbiamo creato un buon impasto, con prodotti km 0… Anzi no, perché di km ne facciamo davvero tanti, ogni inviato batte la sua strada in lungo e in largo. Però senz’altro, per continuare con questa similitudine, andiamo dal produttore al consumatore in un attimo, senza passaggi intermedi. Arriviamo nelle case degli italiani con “roba fresca” tutti i giorni».
C’è una vostra rubrica, “I nuovi mostri”, che racconta il peggio della tv. Quali sono i nuovi mostri nel cosiddetto mondo del food?
«Per parlare anche qui di televisione, mi ha sempre stupito MasterChef, il comportamento esagerato – volutamente esagerato! – del personaggio-chef, che appare nevrastenico, isterico, rompe il piatto perché la vivanda è cotta male e non gli piace. È un’immagine secondo me assolutamente fuorviante, ad esempio conosco bene Carlo Cracco, lui non è affatto così né nella vita né nel lavoro. Insomma, assistiamo a una rappresentazione “mostruosa” della realtà, non vera, che diventa persino umiliante. Ma per fare spettacolo è meglio rompere i piatti che dialogare…».
Il paradosso è che per gli italiani la tavola invece è, da sempre, occasione di socialità, condivisione, convivialità. Si dice: gli stranieri a tavola parlano di tutto, noi italiani parliamo soprattutto di cibo…
«Magari parlassimo solo a tavola di cibo! Almeno lì ci sarebbe uno spunto logico. In realtà ne discutiamo tutto il giorno. C’è gente che arriva al lavoro alle otto del mattino e chiede al collega: “Ma te stasera che te magni?!”‘. (Ridacchia). E proprio un nostro connotato identitario… In altri Paesi, diciamocelo chiaro, si consuma in gran parte cibo spazzatura, chiacchierare del quale non dev’essere affatto appagante. Altrove, insomma, si mangia quasi scocciati nel dover scongelare il pasto e consumarlo guardando la televisione. In Italia per fortuna c’è ancora questa attenzione e questa cultura del cibo».
Tu indirettamente sei anche ristoratore (la famiglia Ricci è proprietaria di Villa della Pergola ad Alassio, che ospita il ristorante stellato Nove). Ti senti partecipe di questa avventura di famiglia?
«Per la verità non troppo, è una sfida che riguarda mia figlia Francesca e nella quale non mi permetto di entrare, insomma non le rompo le scatole. Guardo il tutto da fuori, con curiosità».
Però assaggi?
«Assaggio sempre. Con un limite: sono vegetariano. Ma, essendo ligure, non ho problemi particolari, perché la cucina della mia regione è perfetta in questo senso, ci sono ortaggi pazzeschi (e lo chef Giorgio Pignagnoli li declina alla grande, leggi qui, ndr)».
Piatto preferito, a casa tua?
«Le picagge al pesto. E poi dei gran minestroni».
Veniamo dall’estate degli scontrini pazzi: tutti a postare sui social i conti dei ristoranti, tra supplementi per “toast divisi a metà”, ricarichi-piattino e altre stramberie del genere. Che idea te ne sei fatto?
«Il fatto che sia comparso lo scontrino è per me epocale, perché spesso – specie in certe zone – se ne ignorava del tutto l’esistenza! (Risate di gusto) Ecco: dove appare uno scontrino andrebbe posta una targa commemorativa… Noi a Striscia abbiamo scoperto che nemmeno il bar dell’Agenzia delle Entrate, a Roma, li emetteva. Quindi l’esistenza di scontrini, pur se creano discussione, è già di per sé un fatto importante, un passo avanti culturale non da poco, anzi direi determinante. L’agnosticismo sullo scontrino è stato un altro dato identitario degli italiani!».
Forse lo è ancora, ma un po’ meno. Voi di Striscia raccontate da anni questa Italia e l’Italia del cibo, nel bene e nel male. Nel bene, mi vengono in mente due persone: Davide Rampello e il nostro direttore Paolo Marchi…
«Esatto. Sono molto contento di Davide e Paolo. L’altro giorno quest’ultimo ha presentato nella sua rubrica un ragazzo cinese (Claudio Liu, patron dei vari ristoranti /yo a Milano, qui il video), perfettamente integrato. Secondo me, al di là dell’eccellenza del cibo, è stato un servizio che rappresenta un grosso passo in avanti: la maggior parte delle persone ancora pensa alla ristorazione cinese come a un ricettacolo di cibo di bassissima qualità. Invece, mostrare una tavola guidata da un cinese, che mantiene la propria tradizione orientale, ma la propone ad alto livello, diventa un segnale contro i pregiudizi. Infatti abbiamo anche cambiato il nome della rubrica di Paolo, da “Capolavori italiani in cucina” a “Capolavori del mondo in cucina”. Poi, attenzione, c’è anche l’altra faccia della medaglia…»
A cosa ti riferisci?
«Da tanto tempo con il nostro Max Laudadio ci stiamo occupando del magna magna, (titolo della rubrica, appunto: “È tutto un magna magna”), insomma di come sia possibile adulterare gli alimenti senza farsi scoprire o quasi. Perché la cucina rappresenta la società: e la società italiana è fatta di cose straordinarie, ma anche di disastri».