L'intervista integrale a Chi, in cui l'ideatore di Striscia la notizia spazia dalla presunta pubblicità occulta del caso Fagnani al pandoro della Ferragni, dal profumo di Fassino alle uscite di Vannacci, da Drive in alla Gruber. «Mi considero santo ma non posso andare in giro a dire quanto sono buono, mi rovinerei l’immagine».
Antonio Ricci è seduto dietro alla scrivania del suo ufficio, in un angolo della redazione di Striscia la notizia che si può raggiungere solo con una guida esperta, come un portale segreto. Intorno a lui ci sono pile di giornali, lanci di agenzia, cartellette, libri delle sue “vittime”, cioccolatini che serve agli ospiti, dopo aver offerto loro un giro gratis al museo del programma. Lì, alle spalle dello studio di Striscia, ci sono la sua collezione di querele (tutte vinte), di premi, persino un costume tricolore per le Veline che fu censurato con l’accusa di vilipendio, il tapiro rotto da Mike Bongiorno, il tutore che mise Valerio Staffelli dopo lo scontro con Fabrizio Del Noce.
Gli oggetti, i simboli, sono importanti per Ricci. Nel suo rifugio, infatti, conserva l’ambitissimo e rarissimo diploma di Patafisico, un alto onore internazionale riconosciuto a chi pratica la Scienza delle soluzioni immaginarie.
Antonio Ricci, che belva si sente?
Risposta. «Se allude ai miei servizi su Francesca Fagnani e la pubblicità occulta di gioielli a Belve le dico subito: a me la Fagnani sta simpatica, anche se fa di tutto per non esserlo, e la trovo molto brava. Ma è dal 1998 che mi occupo di pubblicità occulta, dal Maresciallo Rocca in poi. Con le nostre denunce facemmo crescere gli ascolti della fiction Rai, erano tutti curiosi di scovare altre pubblicità nascoste. Così, quando Marco Columbro era in difficoltà con una serie Mediaset, Caro maestro, pensai: “Devo aiutare anche lui”. Scoprii che c’era pubblicità occulta anche nella sua serie – gli zainetti griffati degli alunni – e gli dedicai qualche servizio. E gli ascolti aumentarono».
Perché la interessa tanto la pubblicità occulta?
«Ritengo da sempre che la tv non sia una finestra sul mondo, ma sul mercato, e voglio dimostrarlo. Soprattutto se in una trasmissione che si considera controcorrente e disinibita come Belve ci sono messaggi pubblicitari nascosti, che vengono triangolati con i social: la Fagnani indossa i gioielli senza citare il brand, perché non può, allora il brand, sui suoi canali, la ringrazia per averli indossati e lei mette “mi piace”. Ma non lo dico io, lo dice l’Ordine dei giornalisti. I giornalisti non possono fare pubblicità. E lei non può farlo, anche se dice di non trarne vantaggio. L’ho fatto con Lilli Gruber e non posso farlo con lei? Ci raccontano un sacco di favole, conosco questo mondo e c’è sempre qualcuno che trae vantaggio, può essere anche che uno crei vantaggio ad altri senza saperlo, ma allora non sei una “belva”, sei una “merla” con il collare (ride, ndr)».
Cosa pensa del caso di John Travolta a Sanremo con le scarpe sponsorizzate?
«È la stessa identica cosa, stesso meccanismo».
Ci dica la verità, sceglie accuratamente le proprie vittime o le cadono fra le braccia?
«Sono sicuro che me le mandi Dio… (pausa, ndr). Anche se, non essendo credente, potrebbe essere un insieme di concause. Noi viviamo di segnalazioni e, quando una di queste riguarda un personaggio particolarmente esposto in quel momento, ecco che scatta l’interesse».
Lei, però, non molla mai la preda.
«Vede, in natura, quando una belva sa di non avere scampo, può fingersi morta. In questo modo chi la sta attaccando non avrebbe più motivo di insistere. Invece il suo istinto protervo la porta a dibattersi, a cercare di ferire, di dare le unghiate e a scrivere una lettera indirizzata a me, a Dagospia e a tutti i quotidiani in cui dice che affermo il falso. E vuoi che non risponda? Non c’è astio, a me interessa solo vedere se è possibile che abbia fatto pubblicità occulta. Lei è spiritosa, intrigante, sveglia e resta ancora più esplosivo il fatto che non si renda conto di essere stata messa nel mezzo o che tenti di farcelo credere».
Quindi nei suoi servizi non conta la simpatia?
«Avendo una trasmissione che va in onda tutti i giorni non posso fare distinzione fra chi mi sta simpatico e chi no, ti viene una democratica necessità di guardare in tutte le direzioni».
È moralista?
«La trovo una delle peggiori offese, perché dietro a ogni moralista come minimo si nasconde un pedofilo».
Come si definirebbe?
«Ah saperlo! Sto bene quando mettiamo in contraddizione, facciamo vedere i paradossi. Mi piace lo svelamento. Io non dico che una cosa è giusta o sbagliata, le cose che intrigano Striscia sono il doppiopesismo, la furberia. Se il giornalista non può fare una cosa non la deve fare: Striscia nasce sulla presa in giro dei giornalisti, sulla loro mancanza di credibilità. Una cosa che ha fatto Striscia fin dall’inizio è stato togliere quell’aria sacerdotale al giornalista, ce l’avevano come i preti. E poi facevano la morale cercando di farci passare per stronzi».
Di solito analizza i fenomeni mediatici, che idea si è fatto del generale Vannacci?
«Ogni giorno vengono creati martiri e mostri, sono creature mediatiche perché a volte nessuno corrisponde fino in fondo a quanto c’è di vero, c’è sempre un calcare la mano, un’esagerazione, perché fa comodo a tutti avere un mostro, un alieno da criticare. Vannacci è consapevole, ha già imparato quest’arte diffusa di dire: “Non sono stato ben capito”».
Cosa pensa del clima che si respira in Rai? C’è sempre stata l’ingerenza della politica su programmi e conduttori?
«C’è sempre stata, ne sono testimone dei primissimi tempi, quando facevo Fantastico con Beppe Grillo. I dirigenti erano messi lì dalla politica e, a costo di fare delle fesserie, dovevano dimostrare di fare il loro mestiere. Ricordo un caso clamoroso: la prima puntata di Fantastico, che era registrata, Beppe Grillo pronunciò una battuta sull’allora presidente della Rai, Paolo Grassi. I funzionari lo notarono e, al montaggio, fecero togliere l’audio sul nome del presidente, così si vedeva Beppe Grillo che boccheggiava, muoveva le labbra senza emettere suoni, come un pesce. Paolo Grassi, che era un socialista sedicente libertario, si indignò perché qualcuno lo fece passare per censore. Allora un mega dirigente ci chiamò per convincerci a dire che era una nostra gag, ma ci rifiutammo. Il fatto è che chi è messo lì politicamente deve fare quello, anche se lo fa in maniera così ridicola da diventare controproducente».
Nel caso Scurati, che voleva pronunciare un monologo sull’antifascismo da Serena Bortone ed è stato cancellato, chi ha sbagliato? Ha sbagliato la destra, è stata furba la Bortone, è stato furbo Scurati?
«Finché c’è il controllo politico vale tutto. Ricordo quando Fedez, che doveva essere ospite al concerto del Primo Maggio di pochi anni fa, disse di essere stato censurato e pubblicò la telefonata con i funzionari Rai. La cosa bella è che anche quei malfidati della Rai, giustamente, avevano a propria volta registrato la telefonata dove dicevano proprio il contrario, e cioè che non volevano censurarlo, ma che non era il contesto per fare proclami. Solo che Fedez è stato più svelto, ha dato la notizia per primo e gli altri hanno dovuto rincorrere e, alla fine, ha avuto ragione lui: ha fatto il trappolone e loro ci sono cascati».
Come si fa a stabilire la verità?
«È un problema che c’è dalla nascita dell’uomo, dalla mela che non si può mangiare. L’importante è che ci possano essere delle verità e che possano essere espresse».
Cosa pensa del presunto furto di un profumo da parte dell’onorevole Piero Fassino al duty free?
«C’è una teoria, che smentisco fermamente, secondo la quale lui non stesse comprando il profumo per la moglie, visto che stava partendo per Bruxelles e sarebbe stato assurdo portare in viaggio un profumo per poi farselo bloccare ai controlli per il ritorno in Italia».
Amadeus lascia la Rai, secondo lei ha fatto bene?
«Ha fatto bene come ha fatto bene Fabio Fazio. Se non ti senti a tuo agio e vuoi sperimentare cose nuove non vedo perché tu non lo possa fare, è il libero mercato. Ma non vedo dietrologie, non ci sono martiri».
Dicono che non le dispiacerebbe avere Stefano De Martino a Striscia, è vero?
«Non mi dispiacerebbe, trovo che sia molto bravo, ma penso che sia impegnato con la Rai. È cresciuto tantissimo negli ultimi quattro anni. Striscia è un momento, fai due-tre mesi che devono coesistere con altri impegni. A volte mi chiedono: ma perché cambi i conduttori così spesso? Perché lavorano! Hanno altri impegni come il teatro, il cinema, la tv».
E Fiorello?
«Con Fiorello c’è un patto antico, e cioè che prima o poi verrà a condurre Striscia. La prima volta che gliel’ho chiesto, parlo di 20 anni fa, mi disse: “Ma come faccio senza avere davanti il pubblico?”. Così ho messo il pubblico in studio a Striscia, l’ho fatto per lui. Ma il patto ha una scadenza, che sono i suoi 80 anni: dopo quella data, se viene, verrà pagato in pannoloni. Noi siamo qui da 36 anni, abbiamo tempo di aspettare».
Le piacciono tutti i suoi conduttori?
«Ci sono conduttori nocivi, Alessandro Siani è uno degli esseri più nocivi della storia dello spettacolo, perché è esagerato: noi siamo tutti golosi e, quando c’è lui, porta ogni giorno sfogliatelle, babà, e ingrassiamo tutti. Ho visto Vanessa Incontrada mangiare otto fiocchi di neve che sono delle brioche con dentro la ricotta dolce. Quando c’è Siani andiamo tutti in coma diabetico. Ma poi è maledetto perché, anche quando non è qui, ci spedisce dei pacchi di prelibatezze, ci vuole morti!».
I social hanno aiutato il vostro lavoro o si sono in parte sostituiti?
«È un bene che ci siano. Una volta dovevano aspettare noi per avere un’informazione alternativa, adesso l’informazione alternativa ce l’hai da tanti altri punti di vista. Abbiamo gettato il seme e, se vedi come è tagliata Striscia, è fatta apposta per i social, il linguaggio è quello. Non ne siamo stati travolti perché siamo credibili».
Non sbaglia mai?
«A volte ci è andata bene (ride ndr)».
Il lavoro di Striscia è molto lungo, forse esisterà finché esistono i tg, le censure, i furbi, i truffatori, gli ipocriti: ma lei si è mai dato una scadenza?
«Pensavo che prima o poi sarebbe finita e, invece, ce n’è sempre una, ci si diverte. A volte, quando facciamo la riunione per la puntata, a mezzogiorno, non abbiamo niente, poi alle 14 fioccano così tante cose che alcune le dobbiamo buttare. Questo è un periodo florido: Vannacci, Fassino, Fagnani, non ci si annoia mai».
Pochi mesi fa ha dedicato la piazza degli studi di Striscia a Gianfranco D’Angelo, uno dei suoi primi complici. Ha qualche rimpianto?
«Quando lui se ne andò da Striscia lo fece perché passava a Raiuno a fare Fantastico con Raffaella Carrà ed eravamo contenti per lui. Sono dell’idea che, se va bene a quelli che lavorano con te, va bene anche a te. Il mio rimpianto è che con lui avevamo in progetto di fare ancora delle cose, partendo dalla celebrazione dei 40 anni di Drive in: sarebbe stato un modo per tornare a lavorare insieme. Quando abbiamo inaugurato la piazza non potevo commuovermi perché c’erano i più grandi “cazzoni” della tv italiana che hanno lavorato con noi come Gino e Michele, la Gialappa’s, ma è stato un momento sentito da tutti».
Vi accusano di essere una squadra di autori maschilisti.
«Non lo siamo mai stati, non siamo mai stati nemmeno una caserma, c’è molto rispetto. Pensa che da noi non si parla mai di calcio».
Le manca Silvio Berlusconi?
«È stato un personaggio che ha riempito la testa degli italiani, ha fatto cose da Milano 2 alla televisione commerciale. Non ci sentivamo quasi mai, ma quando avevo il Covid mi chiamava tutti i giorni e mi dicevo: “Pensa, con tutti i cavoli che ha, trova il tempo di chiedermi tutti i giorni come sto”. Ma voglio ricordarlo con una frase che disse: “Il bene vince sempre sul male, tranne nel caso di Ricci”».
C’è chi dice che è meglio avere contro Satana piuttosto che Ricci.
«Io mi considero santo, c’è da dire, però, che anche il diavolo si considera santo. Dentro di me mi considero uno che fa del bene, sono convinto di fare del bene tutti i giorni. Anche se c’è qualcuno che mi vorrebbe morto, è pieno di gente che è contenta perché gli evitiamo delle truffe. Alla sera, quando vado a dormire, penso che facciamo girare le scatole a chi se lo merita e dormo tranquillo. Chi prendiamo di mira può redimersi. Ho letto che Flavio Insinna, di cui mandammo dei fuorionda infuocati, ha detto che era su una via strana, ha ripensato a un certo modo di vedere il lavoro. Mi fa piacere pensare di potergli credere. Ma la cosa per me bella è che non devo perdonare nessuno, facciamo le nostre cose, non portiamo il colpo fino in fondo, diamo sempre delle possibilità di uscita, andiamo con il punto di domanda. Però non posso andare in giro a dire quanto sono buono, purtroppo mi rovinerei l’immagine».
Cosa pensa del pandoro gate?
«Non c’è niente che ti faccia più male di quello che ti fai da solo, c’è un autolesionismo dovuto all’accecamento. Il successo ti porta a pensare di poter fare qualunque cosa e di portartela sempre a casa. A Chiara Ferragni ha fatto più male chi l’ha denunciata per il pandoro o il video in cui lei stessa in tuta parla di un errore di comunicazione? Devi pensarci prima, se non sei obnubilato dici: “Io, comunque, devolvo subito una cifra all’ospedale, poi vediamo come andrà la vendita dei pandori”, non sto ad aspettare la decisione dell’Antitrust. Perché se lo fai solo dopo essere stata sanzionata, non basterà nemmeno un milione di euro per ricomprarti l’integrità».
L’intervista ad Antonio Ricci è pubblicata sul settimanale Chi uscito in edicola mercoledì 8 maggio 2024.