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Corriere della Sera – Ficarra e Picone: il bello e il brutto dell’Italia nei nostri personaggi

Corriere della Sera – Ficarra e Picone: il bello e il brutto dell’Italia nei nostri personaggi

Corriere della Sera – Ficarra e Picone: il bello e il brutto dell’Italia nei nostri personaggi

I due comici, che apriranno l’edizione 2017 di «Fuori Cinema», si raccontano dopo il successo di pubblico e critica de «L’ora legale»: «Bisogna irridere il potere»

Quasi 11 milioni di euro, il miglior incasso italiano della stagione, la storia surreale di un paese che si ribella alla pretesa del nuovo sindaco di far rispettare le regole. Con happy end al contrario: alla fine trionfa lillegalità. Con L’ora legale Ficarra e Picone hanno convinto non solo il pubblico e ma anche la critica che li ha premiati con il Nastro d’argento per la miglior commedia.
 
Come spiegate il successo? 
Picone: «Ognuno di noi si è rivisto in uno dei tanti personaggi di un film che parla dell’Italia e del nostro modo tutto italiano di affrontare le cose. Ha fatto scoprire una parte di noi, non necessariamente bella, ma che ha suscitato empatia nel pubblico».
Ficarra: «Abbiamo venduto il film all’estero, anche fuori dall’Italia si riconoscono nella realtà che abbiamo raccontato. Un malessere diffuso in cui tanti si identificano».
Come nasce la vostra comicità?
P: «Non partiamo mai dall’idea di dare un messaggio, ma da uno spunto che dia la possibilità di riflettere e ridere. Un obiettivo che arriva grazie al paradosso, all’esasperazione e al capovolgimento della realtà».
F: «Non inseguiamo né gli incassi né gli ascolti. Il punto di partenza è fare cose che ci piacciono, l’ambizione è che i nostri film non diventino vecchi e rimangano sempre attuali».
A proposito di regole, quella che infrangete di più?
F: «Cerco di trasgredirle tutte perché mi sembra brutto dare la precedenza a una sola, è maleducazione. Quella che Valentino non rispetta è che dovrebbe lasciarmi stare in santa pace. Invece mi chiama sempre. Anche per dirmi che non cercava me e ha sbagliato numero».
Avete portato a teatro «Le Rane» di Aristofane, cosa vi affascina di questo testo?
P: «Parlano della decadenza di Atene e sono un testo sempre attuale non tanto perché viviamo in un perenne stato di rovina, ma perché il futuro può sempre essere migliore del presente. Le rane parlano di politici che cambiano partito, di persone pubbliche che hanno interessi privati, di cittadini che si accontentano…». 
F: «Riuscire a far ridere ancora oggi con le parole di 2500 anni fa è unemozione ineguagliabile, è un viaggio nel tempo, ma che guarda anche al presente. La lezione è che la crisi di Atene è prima morale che politica. Alzando il livello della prima si alza quello della seconda».
La salvezza dell’Italia invece da dove passa? 
P: «Si rischia di essere banali: serve più coerenza dai partiti, più coraggio dai cittadini. Ma la soluzione potrebbe essere comica. Visti i risultati deludenti della democrazia, propongo una legge elettorale che dia il governo a chi vince ai dadi. Mattarella a reti unificate li lancia e dà il verdetto».
Renziani, grillini, salviniani è difficile, berlusconiani: dove state?
P: «Noi stiamo in alto. Ad osservare la realtà politica, a prendere in giro chi ci governa, ma anche noi stessi».
F: «Come diceva Totò, un comico non appartiene a nessun partito, il suo mestiere è irridere il potere, essere feroci con chi governa».
Dal 2005 siete a «Striscia la notizia», perché vi piace?
P: «Striscia alterna, come faceva Aristofane, alto e basso, inchieste pesanti e rubriche leggere. Allena a non prenderti sul serio».
F: «Mi piace il fatto che arrivi sull’attualità prima di tutti, ti dà la possibilità di commentare prima di altri le notizie del giorno».
L’ultimo è stato anche l’anno dei fuorionda di Insinna. C’è chi dice che «Striscia» abbia esagerato.
P: «È sempre stato nel dna di Striscia utilizzare i fuorionda senza fare sconti a nessuno, è un percorso coerente».
Viviamo nella Instagram society dove vendiamo il lato migliore di noi stessi e photoshoppiamo quello da nascondere.
Che ne pensate dei social?
F: «La parola “foto” ha sostituito “ciao”, se mi fermano per strada la prima cosa che mi dicono è “selfie?”, a volte è una attestazione di affetto, altre sembra la caccia a un Pokemon. Il paradosso è che facciamo più fotografie di prima ma le guardiamo molto meno. Durante gli spettacoli poi è uno stillicidio: una marea di flash che ti deconcentrano».
P: «Quando facevo il militare girava questo detto: se sei stupido torni più stupido, se sei intelligente torni più intelligente. Vale anche per i social, che sono uno specchio: alla fine viene fuori quello che sei».
(Corriere della Sera/Renato Franco, 19 agosto 2017)

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