Il caporalato è duro a morire e lo dimostrano i 7 arresti effettuati in Calabria, nel cosentino.
Gli agenti del commissariato di Polizia di Paola, diretto dal vicequestore Giuseppe Zanfini, si sono trovati davanti una situazione che ha dell’incredibile.
I lavoratori provenienti dal Bangladesh erano costretti a lavorare anche con turni di 26 ore a 1,50 euro l’ora e a vivere in condizioni disumane mangiando per terra (mentre ai braccianti italiani era consentito utilizzare un tavolo). Non solo: a loro erano riservati degli appartamenti di circa 70 metri quadrati in cui vivevano in dieci, con bagni rotti e inefficenti.
Le forze dell’ordine hanno quindi arrestato sette persone, di cui cinque imprenditori e due stranieri (questi ultimi svolgevano un ruolo di intermediazione, riscuotevano il denaro e rivestivano una posizione di privilegio all’interno dell’azienda), posti ai domiciliari in esecuzione di un’ordinanza del gip, su richiesta della Procura di Paola.
Sequestrata anche un’azienda agricola di Amantea di cui i cinque imprenditori sono soci.
Le indagini sono partite dopo la denuncia di uno dei lavoratori, stanco delle clamorose ingiustizie cui era costretto. Gli indagati sono accusati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro di cittadini stranieri.
Da sempre Striscia si occupa di denunciare il caporalato e lo sfruttamento dei braccianti, il più delle volte stranieri.
Già lo scorso maggio la nostra Erica senza k ci aveva mostrato la situazione in altri campi, sempre nel cosentino, e aveva raccolto le testimonianze di alcuni lavoratori.