Siamo tornati sul tema del prosciutto cotto per la rubrica “Magna Magna”. Le diciture sulle confezioni sono a norma? Avevamo contattato Cristophe Brusset, ingegnere agroalimentare e autore del libro “Siete pazzi a mangiarlo”, che ci aveva detto: «E’ vero che per produrre un prosciutto che sia a buon mercato è necessario aggiungere una grossa percentuale di acqua, fino al 25%, ma aggiungere quest’acqua non è un processo facile. Bisogna creare una mistura di acqua, carne, aromatizzanti e additivi».
La direttiva europea 1169 però obbligava per legge che i produttori di prosciutto cotto, quando utilizzavano acqua aggiunta oltre il 5% del peso del prodotto finito, dovevano dichiararlo in etichetta. Secondo questa normativa, confermata anche da una mail che ci ha inviato il Ministero, ciò andava fatto di fianco alla scritta “prosciutto cotto”, proprio lì bisognava scrivere anche “con acqua aggiunta”, oltre che naturalmente nell’elenco degli ingredienti. Quando siamo andati a fare un giro nei supermercati ci siamo accorti che alcuni produttori non rispettavano questa norma.
I malpensanti dicono che non viene messa la scritta “con acqua aggiunta” perché sarebbe difficile vendere il prosciutto cotto. Quale sarà veramente la motivazione? La risposta ce l’aveva data direttamente il Ministero. Il Dottor Stefano Vaccari, Capo Dipartimento ICQRF del Ministero della Politiche Agricole Alimentari e Forestali: «Quello che manca ancora è la sanzione di questa indicazione nella denominazione di vendita».
Insomma la legge c’era, ma addirittura a sei anni di distanza dall’entrata in vigore della stessa normativa, non c’erano ancora le sanzioni. Finalmente il 9 maggio 2018, casualmente dopo la messa in onda dei nostri servizi, il decreto sanzionatorio è diventato attuativo. Nel decreto però si legge: “Gli alimenti immessi sul mercato o etichettati prima della data di entrata in vigore del presente decreto in difformità dallo stesso possono essere commercializzati fino all’esaurimento delle scorte”. Così prima di andare a fare un controllo e vedere se le aziende fossero adeguate alla normativa oppure no, abbiamo aspettato addirittura 8 mesi, credendo fosse il tempo sufficiente per far terminare loro le scorte. Ma sarà così? Abbiamo chiesto a un esperto.
Il Dottor Dario Vista, Biologo Alimentare afferma: «Per quanto con un recente decreto ministeriale del 2016 viene abolito il termine minimo di conservazione prestabilita e la data di scadenza viene scelta liberamente dal produttore, è tecnicamente impossibile trovare scaffali di prosciutti cotti confezionati in atmosfera protettiva da più di otto mesi». Otto mesi è un periodo sufficiente per andare a fare il nostro controllo.
In una confezione analizzata da noi l’acqua è dichiarata nella lista degli ingredienti, ma manca la fatidica scritta “con acqua aggiunta” accanto alla denominazione di vendita. Insomma su 26 campioni di prosciutto cotto che abbiamo controllato (fette, tranci e dadini) solo 6 sono risultati a norma.
A questo punto abbiamo chiesto all’associazione Industriali delle carni e dei salumi perché alcuni produttori non si sono messi a norma e questa è la loro risposta: «Assica ha da sempre ritenuto che la disposizione dell’allegato VI non fosse applicabile al prosciutto cotto».