Rassegna Stampa

«Il duello rusticano con B., lo scontro con Repubblica e il mio sangue dal naso…»
il Fatto Quotidiano

«Il duello rusticano con B., lo scontro con Repubblica e il mio sangue dal naso…»

«Il duello rusticano con B., lo scontro con Repubblica e il mio sangue dal naso…»

Antonio Ricci. Seconda puntata dell'intervista per i quarant'anni dalla nascita di Drive In.

Da il Fatto Quotidiano del 15 ottobre 2023, l’intervista ad Antonio Ricci di Alessandro Ferrucci.

Quarant’anni dal Drive In. Scherzi, battute, comici, politica, polemiche e storia della tv. Questa è la seconda parte dell’intervista ad Antonio Ricci (la prima è sul fattoquotidiano.it). E ricomincia con l’attacco della sinistra alla trasmissione, “un attacco partito dopo Onna, quando Berlusconi pronuncia quel discorso…”

Quindi Onna...

«Esiste, o esisteva, un manipolo repubblichino di sedicente sinistra, molto attivo sulla demonizzazione dell’avversario, ignorando Gramsci. Io non penso che Repubblica, come credono in molti, sia l’origine di tutti i mali della sinistra e quindi dell’Italia, però già l’aver accreditato come compagno Carlo De Benedetti rivela una certa spregiudicatezza».

Nei fatti…

«Il 7 giugno 2009, in prima pagina titolarono “Quel Drive In a bordo piscina che Silvio non può nascondere. La matrioska di Villa Certosa”. Cercavano di sostenere che gli scandali di Berlusconi erano originati dalle mie trasmissioni di più di vent’anni prima».

Tutto questo perché?

«Per i soldi. Sapevano che a settembre sarebbe uscito il Fatto col quale avrebbero dovuto spartirsi il mercato degli antiberlusconiani. Bisognava avvantaggiarsi. Fu un’emergenza economica, non un’emergenza democratica. Il passo falso fu che se la presero col Drive In, la trasmissione più distante dai progetti di Berlusconi».

Berlusconi era vostro fan.

«Se non fosse stato per le pressioni di Carlo Freccero, penso che non saremmo mai andati in onda; (pausa, ci ripensa) dal gruppo L’Espresso cominciarono a fare disinformazione sul Drive In».

Classificato in “coppia” con Colpo Grosso.

«A volte alcuni li sovrapponevano; ricordo Fuksas, inferocito con noi in tv: ‘In Germania tutti a vederlo!’. Allora lo chiamo: ‘Lì non è stato mai trasmesso, non è che ti confondi con Colpo Grosso?’. ‘Hai ragione’».

Le belle donne in costume hanno fatto scopa con il Bunga Bunga…

«Questo è l’aggancio, ma per crearlo sono nati dei falsi clamorosi: strumentalmente c’è chi ha confuso le acque come Marco Damilano».

Cioè?

«Drive In finisce nel 1988, Berlusconi entra in politica nel gennaio del 1994, eppure sull’Espresso scrive che il Drive In dura fino al ’94».

All’epoca ci sono mai state polemiche o proteste di donne?

«Una volta da un movimento di destra sulle pagine dell’Avvenire, invece ricordo interviste esaltanti di Lidia Ravera, etc etc».

Le donne erano oggetto.

«Erano ragazze del Fast Food che picchiavano se molestate, poi parlavano su testi di Ellekappa;  aggiungo: in tv le comiche erano pochissime, mentre da noi c’erano Syusy Blady, Caterina Sylos Labini, Margherita Fumero, Antonia Dell’Atte, Luciana Turina, Olga Durano; tant’è che se ne accorgono l’Unità e Guglielmi, che poi farà nascere La tv delle ragazze».

Però sono rimaste più le bellone alla Carmen Russo o Lory Del Santo.

«Carmen è stata con noi un anno ed è tutt’altro che una stupida».

L’ha definita “caterpillar”.

«Non ha paura di nulla. È caduta da un elefante, si è rialzata senza frignare e ha ricominciato».

Lory Del Santo.

«Prima del Drive In girava senza mutande in una trasmissione di Arbore e De Crescenzo; i due sbirciavano quando saliva le scale; (sorride) di me ha detto: ‘A Drive In Ricci nemmeno mi guardava. Non si lasciava contaminare dalla carne. È un visionario’. Descrizione accettabile purché sia percepita da tutti la differenza tra “visionario” e “guardone”».

Sul lavoro è ascetico.

«Sennò il casino è assicurato».

Nella prima parte dell’intervista ha spiegato: «Erano pieni di serate». Ha cambiato la vita a molti.

«A tutti loro».

Pronti o li ha spiazzati?

«No finché c’è stato il Drive In, alcuni poi si sono un po’ persi, soprattutto quando il riflettore è diventato meno forte; (pausa) mi sono salvato perché non ho creduto all’evidenza».

Tradotto?

«Il successo era tale che potevo chiedere e ottenere qualunque cosa. Era potere. Per fortuna non ci ho voluto credere altrimenti avrei perso la testa».

Bisogna essere solidi

«Chiunque fa televisione, appena entra in studio, gli danno da bere, lo pettinano, gli tolgono la forfora, lo accudiscono in tutto; quando torna a casa e la moglie gli dice: ‘perché hai schiacciato il dentifricio nel mezzo’ scoppia una rissa».

Rapporti con la politica? C’era D’Angelo che imitava De Michelis…

«Gianfranco racconta che Berlusconi lo chiamò per chiedergli meno accanimento. Senza successo».

Giorgio Faletti.

«Un fuoriclasse, ma a lui mi legava un’amicizia pre Drive In;  uscivamo insieme a Francesco Salvi, altro mito: tutti e tre lavoravamo al Derby, e dopo lo spettacolo che finiva tardissimo cercavamo di andare a cena e sistematicamente ci fermava la polizia».

Perché?

«Io e Francesco eravamo capelloni e con le chitarre rappresentavamo lo stereotipo dei soggetti pericolosi: ci aprivano le custodie alla ricerca di armi e ci perquisivano, con Faletti che protestava: ‘Con voi non esco più’; (sorride) spesso frequentavamo un ristorante dove c’erano i veri pericolosi, gente alla Turatello».

Salvi narra che sul palco le usciva sangue dal naso.

«Avevo una forma di allergia che mi provocava epistassi, le utilizzavo come chiusura per certe performances (ride); ai tempi delle superiori ero in grado di procurarmele a comando, ed erano perfette durante le interrogazioni, così il professore mi mandava in bagno e le evitavo».

Per Greggio siete come Mastroianni a Fellini.

«Mi fa piacere, ma a volte sembriamo più Wanna e Stefania Marchi; quando andavamo tutti a cena fuori, capitava che verso fine serata Ezio si alzava, usciva in strada, andava al telefono a gettoni, chiamava il ristorante e con la voce di Berlusconi chiedeva del nostro produttore, Dal Monte. Lui andava al telefono e sentiva Greggio-Berlusconi che si raccomandava: ‘Non facciamo figuracce, offriamo’. Una volta è stato assalito dai dubbi: ‘Come fa a sapere che siamo qui?’. E D’Angelo stupendo, con tempi perfetti: ‘Gliel’ho detto questo pomeriggio, si è ricordato. Che bravo’».

Berlusconi veniva al Drive In?

«Mai, solo alla fine di una cena a Roma, insieme a Jimmy il Fenomeno».

Però nel 1987 ha partecipato Pier Silvio.

«In una puntata, per uno sketch dove truffava il cast del Drive In: otteneva la firma sui contratti con la scusa dell’autografo, poi fingeva di picchiare due molestatori che in realtà erano al suo soldo. Tutto poi si è avverato».

Cosa?

«Mentre il papà era napoleonico, il figlio è stato molto più attento ai conti e ai tagli».

Teo Teocoli è uno dei pochi del gruppo non esaltati dal Drive In.

«È di suo così. È ciclico. Ma è il suo bello».

Qual è il suo podio rispetto al Drive In?

«Ci devo pensare; (pausa) al primo posto la “Missione Bontà”: mille lire per un piccone».

Che missione?

«Liberare il figlio della foca, cioè Adriano Celentano, prigioniero della sua villa; a quel tempo chiedeva mille lire per costruire in Africa un villaggio con Dash, mentre noi volevamo mille lire per un piccone e salvare il figlio della foca».

E…

«I soldi arrivarono realmente quindi siamo andati fuori dalla sua villa, in elicottero, e davanti al muro di Celentano, con un gruppo di figuranti, abbiamo iniziato a picconare».

Per finta?

«Noi sì, avevamo piazzato dei gommini sulle punte, solo che si sono unite delle altre persone del posto, odiatori di Celentano, che menavano sul serio; tutto questo mentre la nostra finta polizia controllava la situazione e mentre è arrivata la polizia vera. Un bordello».

Celentano?

«Blindato dentro con la moglie furibonda che chiama Bernasconi, allora responsabile dei film Medusa e lo stesso Bernasconi poi mi contatta: ‘La Mori è incazzata, rimediate’. Allora nella notte è partito il produttore dell’epoca, insieme a un gruppo di muratori, e hanno stuccato il muro ferito».

Non l’hanno chiesto a lei?

«Sono un infame, avrei picconato ancora».

Altre critiche arrivano da Pippo Baudo: «Berlusconi chiedeva ‘nudo, nudo, nudo’ e Ricci eseguiva».

«Lo dice per infamarmi; c’era più nudo in Rai che su Italia1. In quegli anni l’unico casino da Berlusconi l’ho avuto per il casto nudo di Moana».

Cosa è successo?

«Al 5° anno di Drive In lanciamo Matrioska, dove il presentatore era marocchino e in trasmissione si alternavano vari cori, da quello dei socialisti a Comunione e Liberazione. Poi c’erano le matrioske. Appariva come un programma multietnico».

Eppure…

«Alla conferenza stampa commetto una serie di errori: tutto era giocato su registri contrapposti, come il coro di CL composto da brufolosi che intonavano Il popolo canta la sua liberazione, poi c’era Daniele Piombi che declamava le più belle poesie del 900. La suora-Guzzanti e Moana. Peccato che uno dell’ufficio stampa  Fininvest fosse di CL».

Ahia.

«Infatti lancia l’allarme; poi un giornalista scrive su Il Sabato che mentre il coro di CL canta, c’è una suora con delle estasi non proprio mistiche, Moana si aggira nuda e vogliosa e lo Scrondo che vomita».

Perfetto.

«Scoppia un casino; ingenuamente pensavo che questi di CL arrivassero da Rimini con il pullman e accompagnati da un parroco. Col cavolo. Erano tutti figli di giudici e avvocati, persone di Milano molto potenti. Pronte a bloccare tutto».

E lei?

«Convocato da Berlusconi: ‘Antonio, hai la liberatoria di quella roba lì’. ‘No, figurati’. ‘Non puoi rubare e pretendere che io sia lì a reggerti il sacco… preferisco bloccare la trasmissione piuttosto che farmi bloccare’; (pausa) aggiungo: credevo che un giornale democratico come Repubblica stigmatizzasse la censura e uscisse con l’immagine dei brufolosi di CL e invece piazzano in prima pagina Moana nuda e lo Scrondo».

Moana vinceva.

«Da lì si sono scatenati altri, compreso Vittorio Feltri; a quel punto dico: ‘va bene, niente coro di CL’, ma Berlusconi insiste: ‘Tutti pensano che il problema siano Moana, Lo Scrondo e la suora. Devi toglierli’».

Risposta.

«Ho rifiutato e bloccato pure Drive In».

Sciopero del Drive In?

«Ho mandato solo un’edizione ridotta con un pezzo dove Sandro Milo-D’Angelo prendeva a schiaffi il piccolo fan di Formigoni e quello di Berlusconi».

Contento Berlusconi.

«Aveva un pregio: non era vendicativo».

Mai.

«Una volta siamo arrivati al duello rusticano. Sempre per Matrioska, alla fine, mi convoca ad Arcore, mi chiude nel suo studiolo settecentesco, poi prende in mano un ferma porte e sibillino: ‘Voglio vedere cos’hai in quella testa’. E lo brandisce. A quel punto, usando termini della malavita, afferro dalla scrivania un tagliacarte appuntito: ‘Vieni qua che ti faccio il vestito da prete’».

Serio?

«Sì! Grazie a una scuola di vita di alcuni amici corsi, sapevo impugnare correttamente le lame; ci siamo guardati, fermi e silenti per mezzo minuto, poi siamo scoppiati a ridere».

Il Drive In cosa rappresenta?

«Anzitutto è una trasmissione con un padre: Enzo Trapani, il mio Maestro. Ho sviluppato sue intuizioni. Ho cercato di ammazzare i tempi morti con una massa di satira politica e di costume che mai si era vista in tv. Ho ridotto i balletti a stacchetti e formato una redazione di autori che presidiava lo studio».

È il suo gioiello?

«Uno dei, ma è quello che mi ha permesso di fare quello che desideravo, mi ha donato la libertà di scegliere il cast, il regista, quindi una posizione di forza per ottenere il meglio; (pausa) era tutto funzionale, pure gli scherzi: servivano a mantenere lo spogliatoio a livelli giusti, dove nessuno si poteva montare la testa, altrimenti gli arrivava qualcosa addosso».

Si è divertito?

«Tutti noi; quando a Cologno Monzese abbiamo scoperto la targa dedicata a Gianfranco D’Angelo, le figlie mi hanno detto: ‘Papà come si è divertito con voi, mai nella vita’; ci sono scherzi ancora non rivelati, che se le vittime sapessero che siamo stati noi, non so come reagirebbero; (resta zitto) quel giorno, per D’Angelo, ci siamo ritrovati con quasi tutti gli autori. A qualche vecchio filibustiere è scesa una lacrimuccia. Ed è stato emozionante, come accade per le famiglie che vivono un legame che va oltre l’appartenenza genealogica».

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