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Antonio Ricci: Drive In? Notti di scherzi, il finto killer di Braschi… E la sinistra ci ha utilizzato
Fatto Quotidiano

Antonio Ricci: Drive In? Notti di scherzi, il finto killer di Braschi… E la sinistra ci ha utilizzato

Antonio Ricci: Drive In? Notti di scherzi, il finto killer di Braschi… E la sinistra ci ha utilizzato

La trasmissione compie 40 anni e il suo ideatore ricorda: B. all’inizio non voleva

Dal Fatto Quotidiano dell’8 ottobre 2023, l’intervista ad Antonio Ricci di Alessandro Ferrucci.

Metà anni 80. Un qualunque pomeriggio dietro le quinte del Drive In, nei file mentali di Antonio Ricci.

«Arriva Pistarino e nella sala riunioni trova un cartellone con su scritto “Drive In for Africa”, con sopra tutti quelli coinvolti nel progetto, compreso Has Fidanken che cantava Bau bau; Pistarino esce dalla stanza e incontra i Trettré, grandi facce da culo, che gli spiegano che quel progetto sarebbe diventato un Lp, un po’ come accaduto per “Usa for Africa”; nel frattempo passa Ezio Greggio che sempre a Pistarino canticchia: “Ma lo sai che sei un bel… volpino?”; poco dopo ecco Gianfranco D’Angelo che intona: “Has Fidanken”. Pistarino non regge più e arriva da me incazzato: “Perché sono stato tagliato fuori!”. E io: “Sappiamo che sei pieno di serate, e questo è un impegno grosso: nella prima tappa veniamo ricevuti dalla Regina Elisabetta, dopo partiamo con una nave e ci fermiamo in vari porti fino a raggiungere l’Africa”. “Voglio partecipare”. “Tutto è sponsorizzato da Tv Sorrisi e Canzoni e dalle radio…”. E lui infervorato: “Quelli non lo fanno per beneficenza ma per farsi pubblicità”. “Ma no, non è così”. “Belin, è così!”. Io rincaro: “Al ritorno verremo ricevuti dal Presidente della Repubblica…”. E Pistarino: “Dimmi come posso fare”. “È Tv Sorrisi e Canzoni a pagare, devi chiamare Rosanna Mani”. Attenzione: Rosanna Mani era la responsabile dei Telegatti, donna terribile, se ci litigavi erano guai. Gli spiego: “Rivolgiti a lei, ha in mano tutto, anzi la devi mandare al diavolo, fatti valere, perché magari ti dirà che non capisce, ma è furba, mentre devi risponderle che non sei scemo, che oramai sai tutto e che vada al diavolo”. Dopo poco mi telefona il manager di Pistarino: “Scusa Antonio, cosa è successo? mi ha contattato Rosanna Mani inferocita, sostiene che Pistarino è impazzito”. E io: “Non ti preoccupare, tra due ore spieghiamo tutto”. E invece ritorna Pistarino, sempre più incazzato: “Io non registro la puntata”. Partono le trattative. Fino a quando io e il regista gli sveliamo la situazione: “Era uno scherzo”. Si convince. Si calma. Si cambia. Esce dal camerino e ritrova i Trettré che non mollano: “Carlo ma sei scemo? Quelli ti prendono per il culo solo per farti registrare”. E gli intonano un pezzo mai sentito che in teoria sarebbe finito nell’Lp. Pistarino impazzisce di nuovo, si riveste e se ne va sbattendo la porta. Passa una mezz’ora e lo rivediamo: “Mi hanno rubato la macchina”. In realtà la macchina l’aveva rubata Greggio, gli aveva preso le chiavi dai pantaloni in camerino, l’aveva spostata di 300 metri, con dei pesci marci piazzati davanti all’areazione. Questo era un pomeriggio a Drive In».

(E il 4 ottobre di 40 anni fa aveva iniziava questo delirio organizzato, questa goliardia senza limiti di tempo, paura, censura; senza azioni vincolate alle conseguenze)

Antonio Ricci, il Drive in per lei.

«Il primo pensiero è per l’enorme divertimento che provavamo, e mi riferisco a tutto quello che stava attorno, quindi le nottate, le provocazioni, gli scherzi…».

C’è un’aneddotica lunghissima, e lei è stato definito come il principe degli scherzi.

«Negherò sempre. In realtà io aborro la goliardia. Io non faccio scherzi, i miei sono esperimenti sociologici. Servono per il climate change. A variare le temperature, a fare spogliatoio, a non montarsi la testa. Non c’è niente di più tragicamente ridicolo di un attore o autore comico che si prende sul serio».

Piazzava pure la colla sulle maniglie delle stanze d’albergo.

(Ride) «Questa davvero non la ricordo; però a Beruschi abbiamo combinato di tutto, Pistarino uguale e aggiungo Braschi; con Braschi cose pesanti».

Tipo?

«Per sposarsi aveva lasciato una ragazza calabrese, mentre la futura moglie era una istruttrice e domatrice di delfini a Riccione. Io testimone di nozze. E per ospitarci avevano affittato un intero albergo. La notte prima del matrimonio vagavo per i corridoi dell’hotel insieme a Vastano…».

A fare?

«Cambiavamo le colazioni degli ospiti: sul foglio ordinavamo amari, ravioli, spumantini, cose del genere; mentre eravamo lì veniamo beccati dalla segretaria del Drive in: “Cosa combinate?”. E io: “Siamo di ronda”. “Perché?” “Ci hanno segnalato la presenza del padre e del fratello dell’ex fidanzata di Enzo: lo vogliono ammazzare. Mi raccomando stai zitta”».

Una cosa leggera…

«A quel punto andiamo a dormire e alle otto e mezzo del mattino qualcuno bussa, con veemenza, alla porta della mia camera. Era Braschi. Io sotto la doccia, apre mia moglie. “Dimmi cosa succede! Chi ha chiamato?”. Mia moglie non sapeva nulla, “non lo so”, poi entra in bagno. “Antonio, c’è Enzo agitato”. “Digli che è uno scherzo, di stare tranquillo”. Il problema è che più lei cercava di rassicurarlo più lui ci credeva. Allora sono uscito e ho trovato un uomo distrutto. “Va bene, usciamo, vieni con me, ti porto io al matrimonio: ho la macchina blindata”».

Aveva l’auto blindata?

«In realtà era solo con i vetri azzurrati; per tutto il percorso, dall’hotel alla chiesa, c’era lui che si cagava addosso. Appena scendiamo, vedo Vastano davanti alla chiesa, in modello bodyguard, che mi lancia segnali come “ok”, “libero”, “tutto bene”».

E Braschi?

«Si è sposato con questo terrore. La verità l’ha scoperta solo anni dopo».

Ma la conoscevano, come potevano cascarci?

«Non c’era sicurezza per nessuno».

Greggio non era una delle vittime…

«Anche lui; Ezio portava via dagli studi del Drive In l’oggettistica per l’“Asta tosta”; (sorride) al tempo vivevamo tutti in un residence e la mia stanza era sopra la sua; una sera mi sono calato dal terrazzo, sono entrato e ho spalmato miele sull’attrezzatura. Quando è andato nel locale la sua esibizione è stata particolarmente mellifua e appiccicosa».

Scherzi a lei?

«No».

Non hanno mai osato?

«Me lo sono sempre chiesto, non trovo la risposta».

Avevano paura…

«C’è D’Angelo che nel documentario sul Drive In, alla fine, spiega: “Ricci era molto democratico, se non gli facevi le battute che voleva, poi ti chiudeva in camerino e riapriva solo quando eri d’accordo con lui”».

È vero?

«In realtà l’unico che ricordo di aver chiuso in camerino è Beruschi».

Perché?

«Era terrorizzato dai cani; un giorno arriva uno scenografo: “Antonio lo sai che ho trovato il cane più grosso mai visto?”. “Portalo”. E mi trovo davanti a una bestia enorme, sembrava un pony; lo prendiamo e lo piazziamo nella doccia del camerino di Beruschi. Beruschi entra, chiudiamo la porta e iniziamo a miagolare: “Miao, miao”. Che urla…».

Lo avete pure lasciato appeso…

«Come un provolone podolico e vestito d’oro con delle ali: è rimasto così per più di mezz’ora, da solo, senza nessuno in studio; da lontano lo sentivamo gridare: “Aiuto, aiuto”».

Come nasce il Drive In?

«Avevo già partecipato alla prima trasmissione di varietà su Canale 5, Hello Goggi. Il primo di aprile mi chiama Popy Minellono per scrivere alcuni monologhi per Ornella Muti nella nuova trasmissione di Valerio Lazarov. Iniziamo a lavorare. Ma dopo qualche giorno scalpito. Non accadeva nulla, Muti non c’era e una sostituta non si trovava. Nella piazzetta di Milano 2 incontro Beruschi, Greggio e il regista Nicotra: “Che fate?” “Ci hanno chiesto di pensare a una trasmissione comica su Italia 1”. Io all’epoca ero considerato un enfant prodige, perché avevo già lavorato a tre edizioni di Fantastico e a Te la do io l’America, grazie a Enzo Trapani da battutista ero diventato un autore ambito. “Antonio, ci daresti una mano?”».

Quindi?

«Do le dimissioni dal programma e vengo convocato da Berlusconi che ancora non avevo mai incontrato. Mi domanda i perché e per come. Io rilancio: “Potremmo puntare su un’altra roba: conosco una serie di cabarettisti molto bravi e senza successo. Sarebbe qualcosa di unico e interessante”. “Però lei mi deve fare anche l’altro programma con Lazarov”. “No, guardi”. “E poi ci sono già troppi titoli americani, non mi convince il nome Drive In”. “Ma Drive In riprende Domenica In”».

E Berlusconi?

«Resta un secondo in silenzio, a quel punto bluffo: “Se non lo vuol fare non c’è problema, lo produco e lo vado a vendere”. Allora cambia atteggiamento: “Diamoci del tu: perché ci credi così tanto?” E gli rispiego la questione; lui mi rivela che le trasmissioni su Italia 1 non lo interessavano particolarmente, servivano a parcheggiare alcuni artisti per evitare che andassero a lavorare altrove».

Come fossero calciatori.

«E io: “Ho capito, ma sbrigati a scegliere perché mi hanno chiamato per Fantastico 4. Alla parola “Fantastico 4” gli sono brillati gli occhi: “Facciamolo”; Berlusconi desiderava solo personaggi conosciuti, su Canale 5 voleva creare una super Rai perché così otteneva la pubblicità; con gli sconosciuti agli sponsor non avrebbe strappato le stesse cifre. Così ci mettiamo di buona lena e registriamo un numero zero a Roma, gli studi di Milano erano occupati».

E…

«Portiamo la cassetta a Berlusconi, lui ci accoglie, la prende e si scusa: “Ho una riunione, dura circa due ore”. Nel frattempo ce ne andiamo, giriamo per baretti; dopo due ore torniamo e ci accorgiamo che la cassetta l’aveva mostrata a tutti quelli che trovava, dalla segretaria agli autisti, una sorta di mini Auditel: “Va bene, proviamo”».

C’è una lista di fan insospettabili.

«Per Fellini era l’unica trasmissione per la quale valeva la pena avere una tv, Angelo Guglielmi ha dichiarato che ci guardava sempre e ci prendeva come esempio; (cambia tono) l’aspetto che fa più ridere è Repubblica che oggi esalta il Drive In e pure la sinistra sembra averlo miracolosamente scoperto, tanto da scatenare una querelle con Libero».

In realtà.

«All’inizio Drive In è stato scoperto e amato dalla sinistra; la destra aveva il Bagaglino e tutto quello che usciva da Rai1; (sorride) Giovanni Raboni è stato il primo a parlare di noi, poi Umberto Eco, Omar Calabrese, Beniamino Placido, Del Buono, Veltroni…».

Per molta sinistra Drive In è l’origine del male.

«Molta? C’è qualcuno che ci confonde in buona fede con Colpo Grosso o che strumentalmente ci cita perché, di tutte le trasmissioni Mediaset dell’epoca, è l’unica che il pubblico ricorda; (ci pensa) c’è una data precisa: il discorso a Onna di Berlusconi. Da allora iniziò questa stupida macchinetta del fango. Prima avevo vissuto nella consapevolezza di aver creato un’amatissima trasmissione insieme a gente di sinistra».

Esempio.

«Tutti gli autori: da Max Greggio, anarchico vernacoliere di Livorno, a Lorenzo Beccati, leninista caprese, poi Gennaro Ventimiglia ai confini di Democrazia Proletaria, fino ai Gialappi, veri casinari spontaneisti».

Anche lei…

«Ero stato definito un marxista wagneriano, e neanche mi dispiace; i più a destra erano Gino e Michele, miglioristi del Pci milanese; aggiungo Ellekappa, la striscia di Staino, Paolo Pietrangeli, Disegni & Caviglia…».

(Fine della prima parte. La seconda domenica prossima)

 

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