La nostra Stefania Petyx oggi ci parla del fenomeno criminale del “cavallo di ritorno”. Una metodologia estorsiva che sta prendendo sempre più piede in Italia, da Nord a Sud. È, in sostanza, un furto con riscatto. Funziona così: i malintenzionati, dopo aver selezionato una vittima, sottraggono illecitamente un’auto, una motocicletta, una bici di valore e qualsiasi altro bene che possa essere rivenduto facilmente. A stretto giro, entrano in contatto con il proprietario chiedendogli denaro per poter riavere il bene. Furbescamente, chiedono un riscatto “ragionevole”, che per una moto o un’auto si aggira tra i 500 e i 1000 euro, per invogliare al pagamento. L’acquisto di un veicolo nuovo, infatti, costerebbe verosimilmente di più.
A questo punto le azioni a disposizione sono 3: denunciare alle forze dell’ordine l’accaduto; accettare lo scambio e sottostare all’estorsione; rassegnarsi alla perdita del bene e lasciar perdere. Il più delle volte, le vittime scelgono di pagare e non denunciare, talvolta perché credono sia conveniente, talaltre per paura. Il problema, spesso ignorato, è che, così facendo, si incorre nel reato di favoreggiamento. In più, sottostando al ricatto dei malviventi, si rischia di venire doppiamente beffati: capita infatti che i ladri, dopo aver ricevuto il contante, facciano ritrovare i beni sottratti cannibalizzati e, nel peggiore dei casi, non li restituiscano affatto.
Questo particolare fenomeno, e il relativo reato estorsivo che rappresenta, ha in realtà radici antiche. Le maggiori organizzazioni criminali di stampo mafioso italiane, infatti, agli albori della propria storia si sono cimentate proprio in questo tipo di business illecito. Si trattava di abigeati, di furti di bestiame cui talvolta appunto seguiva la richiesta di un riscatto economico. Si collegava poi alla tradizionale attività offerta dalle mafie di estorsione-protezione. Cosa Nostra, ‘Ndrangheta e Camorra, sul finire del 1800, offrivano infatti il servizio di guardiania nei campi. Insomma, il leitmotiv del “ti creo il problema e ti chiedo soldi per risolverlo”. Chi non pagava, allora come oggi, subiva ritorsioni.