Oggi, mercoledì 4 ottobre 2023, ricorre il 40° anniversario della prima puntata di Drive In, lo storico varietà di Antonio Ricci simbolo degli anni Ottanta. Andato in onda su Italia 1 dal 1983 al 1988, Drive In era una caricatura delle abitudini degli italiani e della società dell’epoca, un programma comico e satirico che ha irriso e messo alla berlina protagonisti, mode e personaggi di quegli anni. Una parodia dell’Italia del riflusso, dell’edonismo reaganiano e della Milano da bere.
Federico Fellini, Umberto Eco, Giovanni Raboni, Beniamino Placido, Oreste Del Buono, Omar Calabrese, Luciano Salce, Lietta Tornabuoni, Maurizio Cucchi, Angelo Guglielmi e tanti intellettuali e artisti dell’epoca definirono Drive In «la trasmissione di satira più libera che si sia vista e sentita per ora in tv» e «l’unico programma per cui vale la pena avere la tv». Drive In è stato descritto da Antonio Ricci come «una macedonia di generi, una via di mezzo tra sit-com, varietà, effetti speciali, satira politica, parodie, gag, barzellette, tormentoni».
Trasmissione divenuta un cult della televisione, ha lanciato alcuni dei comici italiani oggi tra i più celebri. Tra i personaggi mitici, il bocconiano rampante Sergio Vastano, il paninaro sfigato Enzo Braschi, il vigilante Vito Catozzo di Giorgio Faletti e la top model pentita Antonia Dell’Atte. Senza dimenticare i monologhi di Gianfranco D’Angelo e la satira pungente di Ezio Greggio, Enrico Beruschi e della moglie dell’onorevole Coccovace (Caterina Sylos Labini), le comiche di Benny Hill e le curve pop delle Ragazze (parlanti) Fast-Food. E ancora, le parodie dei film campioni d’incasso e dei telefilm (Bold Trek con la coppia Boldi-Teocoli). Ancora vivissimi i tormentoni lanciati dallo show: da “Troppo giusto!” ad “A me, me pare ’na strunzata”, “È chiaro ’stu fatto”, “Has Fidanken” e “Teomondo Scrofalo”.
Nelle foto in allegato gli autori storici del Drive In ieri e oggi: Antonio Ricci, Lorenzo Beccati, Max Greggio, Gennaro Ventimiglia, Michele Mozzati, Gino Vignali, Giorgio Gherarducci e Marco Santin. Qui sotto alcuni giudizi su Drive In espressi da artisti e intellettuali dell’epoca.
Omar Calabrese, semiologo
Epoca, 26 aprile 1985, “Drive In ma perché mi dice ciò?”
Uno spettacolo che non riunisce grandi stelle dello spettacolo, non presentatori da contratti da favola, non scenografie da mille e una notte, non registi megagalattici. E però piace. Drive In, programma di Italia 1, in onda la domenica sera, è il fenomeno televisivo più sorprendente degli ultimi anni. In un colpo ha catturato l’attenzione di un pubblico ipernutrito di «piatti» televisivi di tutti i gusti e la stima di studiosi e ricercatori dei nuovi media. Proprio gli stessi che, analizzando nuove forme d’intrattenimento tv, avevano concluso poco tempo fa che sul piccolo schermo italiano il varietà era praticamente scomparso inghiottito da quel generone chiamato con il pomposo nome di trasmissione-contenitore.
Cominciamo subito col dire che la caratteristica principale di Drive in è proprio in questa sua capacità di mischiare l’antico (il genere) e il moderno. Dal punto di vista della rivisitazione del passato, la trasmissione sembrerebbe riproporre luoghi comuni ampiamente scontati. Ci sono le ballerine con grandi tette e posteriori prominenti, come nella più bella tradizione di Macario e Wanda Osiris (e sulla mistica del culo il programma ironizza presentando una Lory Del Santo ammiccante sulle sue nascoste qualità). Ci sono i comici, inoltre. E la loro massiccia presenza costituisce quasi una antologia dell’avanspettacolo con tutti i diversi sottogeneri: il monologo serrato del comico barzellettista; il dialogo a due della serie «vieni avanti cretino»; il comico di gruppo su base musicale; la scenetta teatralizzata; la parodia in dialetto. C’è un po’ di balletto con tanto di soubrette. C’è il sottofondo di risate come nella soap opera americana. C’è il linguaggio da cabaret, fatto da imitazioni e insensatezze, di parodie e citazioni colte, di provocazioni e ammiccamenti.
Su questa base assai riconoscibile, si opera un primo gruppo di innovazioni di stile, una cospicua serie di varianti. In primo luogo, nelle proposizioni fra i sottogeneri di quel fritto misto che (lo dice il termine stesso) è da sempre il varietà. Drive In, per esempio, elimina quasi totalmente le canzoni e riduce sensibilmente il balletto a puro intermezzo fra i vari numeri. In compenso esalta la recitazione dei comici, e ne propone una quantità inusitata per la forma televisiva del varietà, dove di solito ha invece la funzione di riempimento fra «numeri» più forti. Inoltre, per qualità di testi e per la stessa presenza fisica dei personaggi, i comici prescelti fanno tutti parte di quella generazione degli anni Settanta-Ottanta che qualcuno ha voluto battezzare «i nuovi comici». […]
Un’analisi accurata mostrerebbe come gli sketch di Drive In siano una vera e propria antologia, o addirittura un manuale, di tecniche del comico. […]
Qualche nota finale la meritano le innovazioni sul piano più specifico. Drive In, in effetti, costituisce un tipo di trasmissione in questo senso anomala rispetto al genere. Rinuncia quasi totalmente alla figura del conduttore. Non ci sono presentazioni dei «numeri», ma questi si susseguono intervallati dal medesimo tema di balletto. Altra evidente novità è poi la velocità e il ritmo di esecuzione delle battute e degli sketch. Gli attori parlano tutti con una frequenza frenetica di parole. Gli sketch durano abbastanza poco e si susseguono a ritmo serrato. I monologhi, grazie a tutto ciò, hanno la possibilità di rendere gradevoli in modo immediato anche gli aspetti più cabarettistici e dunque meno «popolari» del comico, come quando i testi operano connessioni di concetti e di idee ai limiti dell’assurdo. O come quando si presentano come connessioni improprie delle vere destrutturazioni dei testi, quasi come nelle pratiche (serie questa volta) dei critici letterari americani chiamati «decostruttivi». […]
Luciano Salce, regista
Epoca, 3 maggio 1985, “Salce: dieci con lode a Drive In”
Drive In? Non posso che parlarne bene: anzi, benissimo. È un programma nuovo, moderno, frizzante, che rinnova notevolmente il settore dell’umorismo.
Ma sì, perché l’umorismo ha sentieri spinosi e difficili, anche se molti non se ne rendono conto. È difficile fare umorismo e non scivolare nel cattivo gusto, nell’esagerazione, nella grossolanità, nella volgarità. Drive In, secondo me, riesce a mantenere integri i connotati dell’umorismo pulito e genuino. Svecchia il genere rivista e varietà, lo trasforma in una nuova maniera di fare spettacolo utilizzando la comicità del vissuto, del parlato dei giorni nostri. Il ritmo che riesce a mantenere è un miracolo della tecnica moderna: le gags, le battute, i personaggi scorrono via veloci e freschi. Niente ripetizioni, nessuno schema già visto e sentito. Caso mai, Drive In ha coniato nuovi modi di dire e di fare che la gente ormai utilizza largamente. […]
Giovanni Raboni, poeta
Europeo, 1° giugno 1985, “Arbore giù Drive In su”
“Drive In è una specie di congegno ad orologeria a bassissimo rischio, uno spazio perfettamente programmato in cui anche gli effetti di improvvisazione sono frutto di una professionalità precisa e paziente. Nessuno fa sfoggio, come in ‘casa Arbore’, di souplesse e alto dilettantismo, nessuno finge di essere lì per caso, nessuno vuole impressionarci ostentando di non curarsi del fatto che lo stiamo guardando”.
Federico Fellini, regista
l’Unità, 23 febbraio 1986
“È l’unico programma per cui vale la pena di avere la tv”.
Umberto Eco, semiologo
Duemila comunicazioni, supplemento de la Repubblica, 19 novembre 1986, faccia a faccia con Eugenio Scalfari.
“Pensa a una trasmissione come Drive In, al suo ritmo, alla quantità di cose che Drive In riesce a far vedere in due minuti e paragona due minuti di Drive In a due minuti della vecchia televisione. Un salto da fantascienza, no? Eppure a quanto pare la cosa non ha provocato traumi, noi siamo passati dal ritmo di valzer a quello di rock’n’roll senza perdere nessuna memoria”.
Beniamino Placido, critico letterario e televisivo
la Repubblica, 10 marzo 1987
“Drive In, la scatenata trasmissione di Italia 1 (una trasmissione alla quale mi sono affezionato lentamente – lo confesso – ma stabilmente)”.
Maurizio Cucchi, poeta
Italia Oggi, 2 novembre 1987
“Drive In, il quale dolcemente implacabile è tornato, spettacolo nuovo ormai antico, varietà e anti-varietà, ricco di mezzi voli autentici e di cadute quasi mai tragiche… tocca di qua, tocca di là, lì cerchio e la botte, il vecchio e il nuovo, e via corrivo acutamente come al buon varietà si conviene. In più la vecchia virtù risaputa del ritmo serratissimo. E il gioco continua a funzionare”.
Oreste Del Buono, scrittore
Corriere della Sera, 23 febbraio 1988
“Drive In, la trasmissione di satira più libera che si sia vista e sentita per ora in televisione”.
Angelo Guglielmi, critico letterario e dirigente televisivo
Quinto Elemento (Canale 5), 9 settembre 2000
“Io, direttore di Raitre guardavo molto, ammiravo e invidiavo Italia 1. Mi ricordo che una delle trasmissioni che più spesso seguivo e non me ne lasciavo sfuggire nemmeno una puntata, è Drive In. Noi lo guardavamo con ammirazione, cercando qualche volta di sceglierlo come modello”.
Renato Nicolini, architetto, politico e drammaturgo
Avvenimenti, 12 marzo 2000
“L’unico situazionista della tv italiana dove pubblico e privato sono lo specchio l’uno dell’altro, è Antonio Ricci”.
Lietta Tornabuoni, giornalista e critica cinematografica
Oggi, 6 novembre 1991
“Antonio Ricci, autore dei programmi più popolari, vero talento della trasgressione contemporanea”.