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Mascherine, le U-Mask filtrano meno di quelle chirurgiche?

Mascherine, le U-Mask filtrano meno di quelle chirurgiche?

Mascherine, le U-Mask filtrano meno di quelle chirurgiche?

L’inchiesta di Striscia sulle mascherine e sulla loro capacità di filtraggio per proteggere dal coronavirus prosegue e si concentra stavolta sulle U-Mask

Parliamo dei dispositivi composti da una parte in tessuto colorato e da un filtro intercambiabile all’interno, tanto in voga tra i vip e gli sportivi, ma che secondo le analisi effettuate, avrebbero un’efficacia ben inferiore a quanto stabilito dalla legge.

Il tema non è di poco conto. Il dubbio è emerso quando Moreno Morello si è occupato di altre mascherine, quelle prodotte da FCA e distribuite nelle scuole con il logo della Presidenza del Consiglio dei Ministri. È lì che il nostro inviato ha appurato che la “validazione” garantita dall’Istituto Superiore di Sanità si baserebbe solo sulla consegna, da parte delle aziende produttrici, di autocertificazioni. L’ente, infatti, non effettua test aggiuntivi per verificare le dichiarazioni di conformità.

Tra i dispositivi esaminati da Striscia, anche le Invisimask, mascherine trasparenti riutilizzabili a uso medico CE, avrebbero mostrato una capacità di filtraggio che si attesta intorno al 45%, quasi la metà rispetto a quella stabilita per legge.


«Abbiamo notato da subito che la procedura di validazione dell’Istituto Superiore di Sanità, che dovrebbe essere elemento di tranquillità per tutti, induce le persone a credere che l’Istituto controlli anche l’efficacia dei dispositivi, invece si limita a un semplice controllo documentale. La stessa percezione errata si ingenera con la marcatura CE (l’alternativa alla validazione dell’ISS) perché in sostanza sono i produttori stessi a marcare come CE le mascherine, facendo in proprio dei test senza che nessuno ne controlli il risultato e dunque dichiarandone la conformità. E i test a campione che abbiamo fatto hanno dimostrato che circolano troppe mascherine non a norma», ha spiegato Morello al Corriere.

Il nostro inviato questa sera si occuperà quindi delle U-Mask, «la prima mascherina biotech, riutilizzabile fino a 200 ore di utilizzo effettivo», secondo il claim dell’azienda. Anche in questo caso, infatti, è sorto qualche dubbio sulla conformità. 

«Distribuita in 121 Paesi del mondo, la U-Mask è stata adottata da diverse federazioni sportive, in Formula 1 ce l’hanno Ferrari, Mercedes e McLaren, serve tantissime aziende, in Parlamento è diffusissima, la indossano Chiara Ferragni e Fedez, si trova negli shop di grandi marchi automobilistici, dicono che ha una molecola che distrugge i batteri.

Insomma i consumatori hanno la percezione di avere su naso e bocca una protezione superiore rispetto a quella garantita dalle chirurgiche, ma i test — fatti in più laboratori qualificati — rivelano che siamo sotto di svariati punti. Insomma le U-Mask filtrerebbero meno di quelle da 50 centesimi e costano pure 35 euro», spiega il nostro inviato.

L’azienda che la produce avrebbe fatto sapere che «considerata la particolare struttura e conformazione, non si potrebbe testare con i metodi tradizionali, così è stata esaminata con un loro metodo, innovativo e personale. Peccato che il metodo andrebbe validato».

Nessuna violazione della legge: l’azienda le produce, le fa testare autonomamente e ne dichiara la conformità sotto la propria responsabilità. Una procedura che, tuttavia, «può prestare il fianco a errori, omissioni o furbizie da parte dei produttori, e che forse andrebbe rivista».

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