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Addio a Marco Diana, è morto il simbolo della lotta contro lo Stato per l’uranio impoverito

Addio a Marco Diana, è morto il simbolo della lotta contro lo Stato per l’uranio impoverito

Addio a Marco Diana, è morto il simbolo della lotta contro lo Stato per l’uranio impoverito

È morto a Cagliari Marco Diana, ex maresciallo dell’esercito, divenuto uno dei simboli della lotta contro lo Stato per la vicenda dell’uranio impoverito utilizzato nelle missioni militari all’estero.

Diana aveva cinquant’anni e da più di venti conviveva con un tumore al sistema linfatico contratto dopo l’esperienza in Somalia nel 1993, dove vestiva la divisa del corpo scelto dei Granatieri di Sardegna.

È stato lui, con il suo volto e la sua voce, a perorare la causa di tutti quei militari malati per via dell’esposizione a sostanze cancerogene. Una lotta senza sosta, tra proteste e battaglie legali, tra cartelli e appelli sui social, per far sì che la questione non venisse dimenticata.
“Non è una lotta personale, ma è quella di tutti i servitori dello Stato che si sono ammalati nell’assolvere il loro dovere”, è la frase che ha sempre contraddistinto lo spirito con cui ha affrontato questi anni.

Marco Diana aveva portato la sua testimonianza, nel 2011 anche a Striscia la notizia, che già da anni si occupava dei rischi per la salute dei militari.


Più volte l’ex militare ha raccontato di sentirsi abbandonato dallo Stato, ma questo non ha indebolito la sua sete di giustizia: nel 2005 ha ottenuto un risarcimento di un milione di euro e la causa di servizio con una pensione privilegiata da “invalido militare”.

Tuttavia, nei documenti non si fa riferimento all’uranio impoverito, bensì ad “altre sostanze cancerogene” con cui Diana sarebbe entrato in contatto.

Il risarcimento però non ha segnato la fine della sua lotta perché la malattia di servizio accertata andava sempre sottoposta a nuovi esami. Ma non solo: i continui ritardi nei pagamenti e le spese per integratori e viaggi sanitari lo hanno costretto a vendere la sua casa nel 2013 e a pubblicare il video (poi rimosso) “Io sono vivo” su YouTube nel 2016 per un rimborso di 20mila euro mai ottenuto dalla Difesa.

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