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Drive In all’Università, Antonio Ricci: «Nessuno sapeva quello che facevamo. E quando ci hanno scoperti, non potevamo tornare indietro»

Drive In all’Università, Antonio Ricci: «Nessuno sapeva quello che facevamo. E quando ci hanno scoperti, non potevamo tornare indietro»

Drive In all’Università, Antonio Ricci: «Nessuno sapeva quello che facevamo. E quando ci hanno scoperti, non potevamo tornare indietro»

All’Università Cattolica di Milano il workshop con gli studenti “40 anni di Drive In. La trasmissione che ha cambiato la storia della Tv”. Con Antonio Ricci, Carlo Freccero, Barbara Palombelli, Victoria Cabello e Alessandro Cattelan. «In 90 minuti c’erano 50 situazioni, il nostro segreto era il ritmo infernale»

«All’inizio nessuno ci controllava i testi – racconta Antonio Ricci – siamo nati su una rete che non esisteva, ad Alassio il segnale di Italia 1 non arrivava, mia moglie non ci vedeva. Quando ci hanno scoperti, ormai era passato un anno, e noi eravamo così, non potevamo tornare indietro. Già i comici Rai andavano a dire ai loro capi: facciamolo anche noi. E perfino il teatro era cambiato, me lo disse Vittorio Gassman: “Non posso più fare quello che facevo prima”».

La rivoluzione di Drive In è stata analizzata e raccontata il 1° dicembre all’Università Cattolica di Milano in una grande aula gremita di studenti nel workshop “40 anni di Drive In. La trasmissione che ha cambiato la storia della Tv”. Con Antonio Ricci, sono intervenuti i conduttori Victoria Cabello e Alessandro Cattelan, Carlo Freccero, ai tempi direttore del palinsesto di Italia 1, la giornalista e conduttrice Barbara Palombelli. Massimo Scaglioni, a capo del Ce.R.T.A., Centro di ricerca sulla televisione e gli audiovisivi della Cattolica, e Anna Sfardini, che dirige il master Fare TV, hanno fatto gli onori di casa. Seduti in prima fila, alcuni protagonisti di quelle stagioni (1983-1988): Carmen Russo, Antonia Dell’Atte, Sergio Vastano, Francesco Salvi, Nino Formicola ed Enrico Beruschi.

Il segreto di Drive In? L’ha svelato Antonio Ricci: «Non la velocità, come a volte si dice, ma il ritmo. In una puntata di 90 minuti c’erano ben 50 situazioni diverse, che andavano scritte. Il primo anno era stato sperimentale, scrivevamo il programma nel camerino di Beruschi e la notte al residence da Greggio. Il secondo anno, siamo venuti da Roma a Milano e ho preteso una cosa assolutamente rivoluzionaria: una redazione. Sono andato a cercare autori tra vignettisti, ex cabarettisti, pubblicitari. C’era bisogno di tanta gente, ho messo insieme questo sistema idrografico e tutto confluiva nel fiume Drive In. Essendo un’antologia dei modi di far ridere, c’era la possibilità di testare degli autori, ci si misurava e si cresceva come scrittori. In tutto questo la satira politica era determinante: tutto era compresso, condensato in un ritmo infernale, che serviva alla tv commerciale perché ogni 12 minuti c’era un’interruzione pubblicitaria. Dovevamo fare i 110 a ostacoli, e gli ostacoli li superi grazie al ritmo». 

Barbara Palombelli ha collocato la trasmissione nel contesto storico, in quello che lei ha definito “un dopoguerra”: «Nell’81 finiscono gli anni di piombo, l’Italia ha voglia di vivere, di ridere e stare bene. Cambia tutto, perché ora il divertimento arriva a casa: prima per noi ragazzi guardare la tv era da sfigati, e Drive In fu un’esplosione di divertimento, ci si trovava tra amici per ridere insieme. Non era mai successo». 

Carlo Freccero ha raccontato di aver piazzato Drive In contro Dallas (su Canale 5), il telefilm del momento: «Ho fatto questa scelta tranquillamente, per dimostrare che c’era un’America profonda (Dallas) ma anche quella che amavamo noi, quella del cinema, quella alternativa. Fui io a volere a tutti i costi Drive In: la tv di Silvio Berlusconi aveva due pilastri, la cultura popolare italiana e il modello della tv commerciale americana. Le due cose non erano in contrasto, facevano riferimento alla pancia del paese. Io che venivo dal ’68 pensavo a un modello più sofisticato, citazionista, volevo mettere l’audience profonda tra virgolette. Volevo connettermi con il pubblico giovane e ho capito subito la potenzialità del programma. Drive In si imponeva per la capacità di andare oltre la tradizione popolare italiana, era già postmoderno, spaziava dal presente al passato e attingeva dall’archivio per raccontare il presente».

Alessandro Cattelan mette Drive In insieme a Mai dire gol e al Pippo Chennedy Show nella triade dei programmi che più l’hanno influenzato: «Ero piccolo, ma mi piaceva da impazzire. Il suo impatto è paragonabile solo a quello dell’iPhone: era la tv che già c’era, ma più colorata, più bella, più smart. Si andava direttamente al punto. Negli anni successivi ho scoperto il Saturday Night Live e ho pensato: ma noi in Italia ce l’avevamo già! Lanciava modi di dire che poi tutti mettevano nella vita di tutti i giorni, era virale prima dei telefonini». 

Victoria Cabello confessa che farne parte sarebbe stato un sogno: «Anche se avrei potuto fare solo la tavola da surf. Anch’io sono stata influenzata da Drive In, in mille modi diversi: per esempio ho un cane cocker che spaccio come il nipote di Has Fidanken… Ricci ha proposto un modello di donna utilizzando la chiave dell’ironia, e oggi in tv di donne così ne vedo sempre meno. Il ruolo delle donne è quasi sempre subalterno a quello dell’uomo. Penso al Festival di Sanremo». Sulla questione, Barbara Palombelli ha raccontato il contesto: «Quelli sono gli anni di Marina Ripa di Meana che scrive “I miei primi 40 anni”, Moana e Cicciolina che diventavano personaggi pubblici, e il Partito Radicale dava una mano, come gendarmi a tutelare la libertà di espressione. E le donne comuni esprimevano la stessa libertà, erano tutte in topless in spiaggia in quegli anni. Leggere con gli occhi di oggi le donne del Drive In può dare un’impressione sbagliata, deve scattare l’idea che c’eravamo anche liberate di certi obblighi, di certi doveri. Insomma, che abbiamo vissuto un’epoca di grande libertà».«Drive In – racconta Antonio Ricci – era ambientato in un drive-in perché era la presa in giro dell’America di quegli anni. Ero stato a New York a fare Te la do io l’America e mi ero reso conto dell’esagerazione, della potenza. Avevamo lottato, io e Freccero, contro le basi missilistiche, vedevo l’Italia come il possibile parcheggio delle testate nucleari americane: abbiamo fatto una satira contro gli anni della Milano da bere, gli anni reaganiani, dei denari facili, contro l’inizio della Finanza. Così le ragazze fast food erano esattamente vestite come le pin-up americane, Greggio andava in giro con la giacca americana. Quello che colpiva erano soprattutto le ragazze, la loro ironia: le ragazze fast food che recitavano le battute, spesso di ElleKappa, Carmen Russo che faceva la svampita in maniera così distaccata che faceva ridere. C’era questo enorme numero di comiche al Drive In, se ne accorse Maria Novella Oppo dell’Unità, poi anche Angelo Guglielmi che così riuscì a fare La Tv delle ragazze. Faccio il caso della signora Dell’Atte, che è qui davanti a me: nessuno in quegli anni prendeva in giro il mondo della moda. Noi sì, le nostre modelle erano le Bomber, militarizzate, armate, perché la moda era un’occupazione militare del gusto. Devo dire che oggi c’è un grande cambiamento per quanto riguarda l’immagine della donna del Drive In. Una regista americana sta girando un documentario per dimostrare come le donne, attraverso l’ironia, si siano emancipate e si siano affermate in maniera assolutamente diversa».

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