Sono 4700 gli esuberi previsti nel nuovo piano industriale di ArcelorMittal. Di questi, 2900 saranno effettivi già nel 2020, con l’organico dell’ex Ilva che passerebbe dai 10789 occupati del 2019 ai 6098 del 2023.
Numeri comunicati dall’ad dell’azienda Lucia Morselli durante il tavolo al Mise e che si aggiungono alle previsioni sull’aumento dei volumi di produzione dagli attuali 4,5 milioni di tonnellate di acciaio ai 6 milioni del 2021.
L’annuncio non è piaciuto ai sindacati che hanno definito «irricevibili» le proposte di tagli. «Non ci sono condizioni per aprire confronto per un accordo. Si deve ripartire dall’accordo di un anno fa, con i livelli occupazionali e investimenti indicati dal piano del 2018», ha detto il segretario generale Cisl Anna Maria Furlan.
Il governo intanto starebbe pensando alla presentazione di un proprio piano «che farà diventare Ilva un esempio di impianto industriale siderurgico, con uso di tecnologie sostenibili, con forni elettrici e altri impianti ecosostenibili per arrivare a una produzione di 8 milioni per tutelare livelli occupazionali». Queste le intenzioni del ministro dello Sviluppo Patuanelli, secondo quanto riferito da alcune fonti sindacali a Repubblica.
Nel frattempo, sono rimasti senza chiarimenti i dubbi sorti dopo il servizio di Pinuccio del 21 novembre in cui il nostro inviato aveva raccolto alcune testimonianze su come ArcelorMittal abbia gestito l’acquisto di materie prime e la vendita del prodotto finito attraverso delle società controllate dallo stesso colosso industriale indiano.
A supporto di questa ipotesi, ci sono le dichiarazioni rese all’inviato di Striscia da due dipendenti della multinazionale: «Un’azienda del Lussemburgo controllata da ArcelorMittal – sostengono –, comprava il materiale a Taranto a prezzi molto bassi e lo rivendeva a dieci volte tanto: l’Ilva moriva nei debiti, le controllate si arricchivano. ArcelorMittal, in Italia, spedisce solo a una società, che ha più sedi sul territorio nazionale, controllata da lei stessa. Questo le permetterebbe di condizionare i prezzi delle compravendite».