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Antonio Ricci a Ciak: “Io, Citto Maselli e la passione per Buñuel”

Antonio Ricci a Ciak: “Io, Citto Maselli e la passione per Buñuel”

Antonio Ricci a Ciak: “Io, Citto Maselli e la passione per Buñuel”

Il creatore di Striscia la notizia, Drive In, Paperissima e tanti altri programmi tv che hanno innovato e preso in giro il gusto e il costume del nostro Paese racconta il suo “amore contrastato” per il cinema, la sua unica prova da sceneggiatore e “quella volta che Cecchi Gori convocò me e Grillo”

Di Nanni Delbecchi

“Sai come si chiama il protagonista di Ladri di biciclette?” “Non mi ricordo”. “Antonio Ricci. Dimmi tu se con questo nome potevo non adorare il cinema”.

Non fa una piega. Ma da quarant’anni Antonio Ricci è anche un protagonista della nostra televisione, un maestro orgoglioso di essere più odiato che venerato, e tracce di cinema sono isolabili in tutti i programmi nati dal suo genio satirico (per non dire satanico), da Drive In a Lupo Solitario, fino a Striscia la notizia: “Anche per ragioni anagrafiche, ho vissuto tutta la parabola gloriosa del cinema, sia come arte, sia come luogo mitico”.

Partiamo dal luogo, le mitiche sale di una volta.
Mi affascinavano enormemente fin da bambino. Quell’enorme lenzuolo dritto, steso in verticale invece che in orizzontale mi suggeriva una lettura diversa della realtà. Meglio del tappeto volante.

Quindi chiedevi ai tuoi di andare al cinema.
Tutti i giorni. Ad Albenga ce n’erano addirittura tre, più un’arena all’aperto. Ma i miei non mi ci portavano.

Nemmeno d’estate, all’arena?
Macché. Venivo turlupinato dai miei genitori che per farmi stare buono me lo promettevano tutto il giorno. Poi quando arrivava la sera, mi mettevano a letto. “Ma non dovevamo andare al cinema?” Sì, ma questo è il Cinema Bianchini, con la testa sui cuscini”.

La vendetta del lenzuolo orizzontale. Ma a un certo punto li avrai convinti.
Alla fine io e mia sorella l’abbiamo spuntata, ci hanno portato a vedere Ventimila leghe sotto i mari, ma anche lì c’è stato l’imprevisto. Al momento clou, quando arriva il calamaro gigante, mia sorella si mette a gridare come un ossesso, finché i miei ci prendono e ci portano via. Da allora mi è rimastro il pallino del finale aperto.
Un amore contrastato con il grande schermo. Proprio così. Finalmente mi emancipo e comincio a andare al cinema all’aperto: peccato che lo schermo dell’arena confinasse con i binari della ferrovia- E naturalmente proprio quando veniva scoperto l’assassino o scoccava il primo bacio, arrivava il passaggio del treno a coprire tutto.

Chissà come avrai maledetto quel treno.
All’inizio sì, ma poi ho iniziato a simpatizzare con quell’entità straniante, quasi brechtiana, che rompeva l’incanto ma mi riportava alla realtà. E mi sono messo a fargli concorrenza.

Ovvero?
Ho scoperto il cinema interattivo, o per meglio dire, il far casino con gli amici. All’epoca si poteva stare in sala quanto si voleva. Alla terza volta che vedevi il film lo avevi imparato a memoria, così potevamo doppiarlo oppure reinterpretare dal vivo la colonna sonora.

Ti ricordi qualche “doppiaggio” memorabile?
Leggendario quello di Helga, il documentario tedesco in cui per la prima volta si vedeva un parto. Ti avvisavano che certe immagini non erano consigliate a un pubblico troppo sensibile e sarebbero state annunciate con un suono. Noi portavamo in platea una sceglia per dare in anticipo il segno del pericolo, poi un nostro amico fingeva di svenire e noi lo portavamo via a braccia. Ogni sera replicavamo.

E il pubblico non si arrabbiava?
Tenevano tutti per noi.

Poi è arrivata la stagione del cineforum.
Lì ho vissuto un’altra esperienza formativa fondamentale grazie a Citto Maselli, il mio amico e critico cinematografico. Natalino Bruzzone aveva organizzato una imponente retrospettiva dei suoi film di Maselli che si doveva concludere con una proiezione serale nella piazza di Albenga. Solo che quel sabato, proprio in concomitanza con l’inizio di Ruba al prossimo tuo con Claudia Cardinale e Rock Hudson, si scatena una bufera terribile.

Alla presenza di Citto Maselli.
Ovviamente. Dopo le prime secchiate d’acqua decidiamo di spostarci all’Anfora d’oro, una discotecaccia alla periferia di Albenga.

Tutti all’Anfora d’oro.
Sì, ma tutti col cavolo perché gran parte del pubblico si era dato alla macchia. Io e Bruzzone facciamo un rastrellamento nei bar raccogliendo i peggiori perdigiorno e li stipiamo all’Anfora d’oro.

Com’è finita?
Ce la siamo cavata, alla fine c’era più gente all’Anfora che in piazza, ma il bello è venuto dopo. Vedendo le pizze di tutti i suoi film raccolte da Bruzzone, Maselli si entusiasma. A quei tempi non c’erano ancora le videocassette, alcuni suoi film non li aveva mai rivisti nemmeno lui, su sua rischiesta si decide di organizzare una cinematatona, l’opera omnia di Citto Maselli no stop al cinema “Bambi” delle suore. È finita alle dieci e mezza del mattino con focaccia e bianchino. Da lì ho capito che ero immortale.

Da topo di cineforum avevi un’attrice di cui eri innamorato o un attore in cui ti identificavi?
Nessuna passione al femminile, troppo irraggiungibili. E nemmeno al maschile con un’unica eccezione. Ero pazzo di Livio Lorenzon.

Livio Lorenzon?
Lui. Il cattivo e lo sfigato per eccellenza, una specie di Willy il Coyote in carne e ossa. Divenne il mio beniamino in Ercole contro Roma, dove nei panni del perfido pretoriano Mansurio dice “I buoni sentimenti mi hanno sempre fatto schifo”. Roba che oggi verrebbe fucilato sul posto.

Avrai avuto però qualche regista di culto.
Luis Buñuel. Ho adorato un capolavoro della maturità come L’angelo sterminatore, ma anche il primo cortometraggio scritto con Salvador Dalì, Un cane andaluso. Il rasoio che taglia l’occhio, la mano piena di formiche, i preti trascinati dagli asini… Il grande cinema per me parte dalla forza delle immagini.

La regola vale anche per il cinema italiano?
Certo. Fellini, è ovvio, ma venendo all’oggi anche Garrone e soprattutto Sorrentino. Ho grande stima dei maestri della commedia all’italiana: da Monicelli, Salce, Dino Risi ho imparato molto, ma il cinema che mi emoziona resta quello visionario. Per fare un esempio contrario, Nanni Moretti, a livello di recitazione un Ezio Greggio con la barba, lo ritengo un tipo di cabaret evoluto. Siamo ai livelli di Diventate registi in 24 ore con la Scuola Radio Elettra.

Ti è piaciuto il Berlusconi di Sorrentino?
Sì, e proprio per la forza delle immagini. Berlusconi prigioniero nella voliera delle farfalle è un’immagine stupenda che ti fa riflettere. Non so se è Berlusconi, ma è grande cinema perché il grande cinema non deve spiegare, deve far vedere.

E delle fatiche dei tuoi complici televisivi, da Ezio Greggio a Ficarra e Picone, cosa pensi?
Greggio non lo vaso a vedere, e in generale i cinepanettoni nemmeno li concepisco. Mi ha trascinato una volta a vedere Yuppies 3; quando gli ho detto che era una cagata pazzesca mi ha risposto: “Ma perché non hai visto gli altri” “Certo che non li ho visti e nemmeno li vedrò”. Ficarra e Picone invece sono molto bravi, nei loro filrm c’è anche generpsità produttiva, e si vede.

Tu stesso sei stato tentato dal cinema.
All’inizio degli anni Ottanta, dopo il successo del primo Fantastico, io e Beppe Grillo siamo stati convocati a pranzo al Principe di Savoia da Cecchi Gori padre. Ci voleva a tutti i costi: “Voi mi portate un’idea e andra sicuramente bene”.

Vi ha dato carta bianca.
Beppe protagonista, io alla regia. “Ma dottor Cecchi Gori, io la regia non l’ho mai fatta…”. E lui: ” Ma Ricci, cosa vuole sia? Non andiamo a cavillare…”. Per fortuna a un certo punto si è palesato Cecchi Gori figlio con enorme ritardo e i due hanno cominciato a litigare furiosamente.
A un certo punto io e Beppe ci siamo guardati e siamo scappati di soppiatto, mezzi seduti, come nei film.

Debutto rimandato di poco, perché poi avete fatto Cercasi Gesù con Comenicini.
Io ero perplesso. Già allora Beppe era poco aduso al dialogo, come lo è ancora adesso, e è difficile fare il cinema senza dialoghi, ma con Comencini ci si poteva provare. Se ha insegnato a recitare ai bambini, ho pensato, forse ce la fa anche con Grillo. E così è stato.

Però Cercasi Gesù è rimasta la tua unica sceneggiatura.
Sì, ma Comencini è stato fondamentale nella mia vita perché mi ha dato la possibilità di doppiare un mimo. Conosci qualcuno che doppia i mimi?

No. Come si doppia un mimo?
Basta parlare senza accento. In Cercasi Gesù Giuseppe Cederna fa il mimo. Grillo lo incontra in una strada deserta e gli chiede: “Ma tu chi sei?” “La fantasia”, risponde Cederna. Tutto qui. Eppure al doppiaggio nessuno riusciva a pronunciare “fantasia” come si deve, tutti con quella esse dura romanesca. Allora ho provato io , ed è stata buona la prima.

Da quel momento in poi solo televisione. Nessun ripensamento?
Nessuno. La televisione è il mio mezzo espressivo, un mezzo molto comodo e anche molto umile, inevitabilmente sintonizzato sull’attualità. È la sua forza e il suo limite. In televisione posso aggiungere una cosa al volo, posso aggiustare il tito fino all’ultimo…ho il dono della rapidità ma sono anche un precisino, a me la roba me la devono togliere dalle mani.

Guardi almeno qualche serie tv? 
So che ci sono dei capolavori, però per il momento non riesco a vederle per mancanza di tempo materiale. Prima o poi recupererò.

Forse ti spaventa la durata, dalle otto ore in su.
Ma no, da quel punto di vista vado sul velluto. Ho fatto la cinemaratona di Citto Maselli: il fisico ce l’ho.

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